domenica 28 ottobre 2012

22 Da cosa dipende lo stato di salute?


22      Da cosa dipende lo stato di salute ?

      

Dipende da una enormità di fattori, che contribuiscono all’equilibrio funzionale di tutte le reti organiche e la malattia si evidenzia o con un disordine o con un eccesso di ordine [1]. Ogni connessione tra i nodi di questa mirabile rete può venir interrotta e risultare non funzionante, può essere by-passata o venir sostituita, come del resto ogni nodo può risultare fondamentale o meno, o affatto importante; certo è che la sommatoria di questa complessa e strabiliante dinamica è lo stato di salute, lo stato di malessere o di malattia o la morte; punto finale dell’attrattore della vita. Comunemente la salute è considerata espressione di ordine e la malattia di uno stato di disordine. Da un’analisi più approfondita questa valutazione risulta errata. 


Dalla fine degli anni ottanta sono state indagate le dinamiche fisiologiche [2] [3] con la nuova visione riguardante la complessità; si studiarono gli atti respiratori, la proliferazione delle cellule staminali ematopoietiche [4], si indagarono le dinamiche proliferative delle cellule neoplastiche; ma i risultati più sorprendenti emersero in cardiologia, studiando il ritmo cardiaco [5]. Vi espongo un esempio significativo: il ritmo cardiaco normale è definito sinusale e si esprime con una regolarità, che, se indagata con precisione, e nell’era del computer questo è possibile, non dimostra la regolarità assoluta di un metronomo; in realtà il normale battito cardiaco, anche quando risulta sinusale, è molto variabile sia a riposo, sia durante il sonno e viene condizionato da numerosissimi fattori. Le aritmie cardiache rappresentano un capitolo della cardiologia di estrema rilevanza sia per la frequenza con la quale si riscontrano, che per la loro gravità che frequentemente si conclude con la morte dell’ammalato. 

Si è sempre pensato che col peggiorare della malattia cardiaca il ritmo del cuore divenisse più caotico, meno regolare. Questa supposizione è errata: i malati ad alto rischio di arresto cardiaco, che presentano un ritmo regolare, evidenziano una variabilità meno complessa; infatti in soggetti con scompenso cardiaco, monitorati elettrocardiograficamente, la perdita della dinamica di tipo caotico con comparsa di una regolarità più evidente del ritmo, precede l’improvvisa fibrillazione ventricolare o l’arresto cardiaco [6]

La maggior fluttuazione, l’ampio spettro, l’andamento caotico del ritmo cardiaco dei soggetti normali permette una maggior adattabilità del sistema dinamico alle variazioni ambientali intrinseche o estrinseche. La dimostrata perdita della complessità compromette l’adattabilità del sistema e predispone, favorendone, l’insorgenza dell’arresto cardiaco. Del resto, se banalmente consideriamo la differenza e la pericolosità che esiste tra il camminare su un percorso largo come un sentiero e quelle su di una corda, ci rendiamo perfettamente conto della diversa difficoltà che affrontiamo per rimanere in equilibrio: il sistema dinamico nel secondo caso ha minor possibilità di adattarsi anche alle più impercettibili variazioni e la stessa situazione risulta quando si riduce la fisiologica dinamica cardiaca di tipo caotico. 

In definitiva la riduzione o la perdita di complessità compromettono l’adattabilità dell’organismo predisponendolo all’evento patologico. 

Nell’anziano è stata osservata una riduzione della complessità nel sistema regolativo della secrezione ormonale dell’ipofisi anteriore. 

In età avanzata si nota una riduzione della complessità in senso anatomico sia a carico delle ossa, ove si riscontra una riduzione delle trabecole [7], che a carico del tessuto nervoso, ove vi è una riduzione delle diramazioni dendritiche e del numero dei neuroni. Dal punto di vista funzionale vi è una riduzione delle dinamiche caotiche, che si estrinseca con una diminuzione della variabilità della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa ed una riduzione delle alte frequenze in audiologia, oltre ad una alterata attività caotica elettroencefalografica. L’elettroencefalogramma di una persona normale si presenta estremamente più complesso e caotico di un encefalogramma di un ammalato mentale. 

In definitiva tutti questi dati avvalorano il concetto che la malattia e l’invecchiamento non rappresentano una diminuzione dell’ordine, ma realisticamente da una riduzione delle dinamiche fisiologiche caotiche. 

Ricordando che Kauffman [8] con le analisi delle simulazioni al computer per modelli semplici di reti casuali, siano esse genetiche, neurali o di reazioni chimiche, ha evidenziato, che al semplice variare di soli tre parametri: (1) il numero dei nodi della rete, (2) il grado di interconnessione media dei nodi e (3) le regole di connessione, è possibile determinare una gamma estremamente ampia di risultati possibili. Del reso noi sappiamo che il Caos ha la possibilità e la capacità di presentare e generare al suo interno strutture dinamiche ordinate, che si autorganizzano nell’ambito del sistema, come avviene ad esempio per la stabile presenza della macchia rossa di Giove nel contesto del caos circostante. Lo stesso fenomeno si manifesta durante lo sviluppo di una cellula che diviene neoplastica e che presenta uno spettro comportamentale uniforme determinato dalla riduzione delle dinamiche caotiche fisiologiche. Infatti le cellule neoplastiche sono anch’esse complesse, ma presentano una notevole riduzione del proprio comportamento metabolico che diviene stabile, ordinato e di conseguenza non più adattabile agli input esterni fisiologici. 

Con questa visione le malattie, le neoplasie e tutte le malattie in genere devono essere interpretate come sistemi autorganizzati essendo il risultato dell’autorganizzazione dei sistemi dinamici caotici fisiologici [9]

Il Caos conferisce al cervello un notevole vantaggio, perché i sistemi caotici producono continuamente nuove attività in altri raggruppamenti neuronali; il cervello sano è infatti in grado di attivare continuamente nuovi circuiti, creando nuovi contatti con un ordine spesso casuale, che, per la dipendenza sensibile alle condizioni iniziali, giustifica l’originalità, giustifica l’ideazione e l’apertura a nuovi schemi di pensiero. Al contrario la malattia mentale è foriera di ordine, di ripetitività e di assoluta cristallizzazione del cervello; non a caso dietro la scrivania piena di carte e disordinata del noto cardiochirurgo Cooley era appeso un cartello che recitava: “Scrivania ordinata è espressione di mente malata” [10]. Mi ripeto: questa citazione è una delle più significative che vi espongo ed aggiungo, facendo una breve considerazione: quanti capo-ufficio che conosciamo hanno la scrivania ordinata: forse non pensano ad altro, che a loro stessi! 

Anche l’attività percettiva è di tipo caotico [11], come è stato dimostrato da Walter Freeman, professore di neuroscienze all’Università di Berkley (California). 

Paradigmatico di “cervello ben funzionante” è stato, ad esempio, quello di Richard Feynman, premio Nobel per la fisica del 1965, uno dei maggiori fisici teorici del secolo scorso, che ha illustrato e discusso di fisica con “menti mostruose” come Einstein, von Neuman e Pauli e che contemporaneamente eccelleva come suonatore di bongo, come pittore e biologo, dando dimostrazione che la sua vita, lungi dal rimanere confinata e cristallizzata entro i limiti del suo impegno scientifico, si espandeva in una miriade di attività nelle quali sempre primeggiava; ed è degno di nota, e fa riflettere, ricordare che il futuro premio Nobel venne scartato dall’esercito americano perché psichicamente deficiente! Questa è una citazione che alcuni anni fa ho già enunciato – scusatemi se mi ripeto – ma è troppo significativa! Perché è l’espressione di un mondo schematico di stampo riduzionistico, che purtroppo ancora, dopo più di mezzo secolo permane nella maggioranza delle teste “quadrate”. 

Solo da poco sappiamo che le dinamiche dei costituenti cellulari, istante dopo istante, si modificano influenzandosi in una sorta di danza variabile tra la vita e la morte, anch’essa sottoposta alla locale contingenza, facendoci comprendere come il tutto non sia la somma delle parti e come le dinamiche biologiche certamente non sono lineari, dimostrando anch’esse di percorre l’equilibrio tra l’autorganizzazione e la criticità autorganizzata. Una cellula pertanto si mantiene viva, cresce e si duplica, perché al suo interno ci sono strutture molecolari autocatalitiche ed auto assemblanti, che crescono e si degradano incessantemente. 

Anche il nostro organismo deve essere considerato come un'intricata rete di processi sinergici: a livello molecolare, in cui operano reazioni di tipo autocatalitico e iperciclico, insieme ai processi spontanei di autorganizzazione sovra molecolare, a livello degli organuli cellulari, delle strutture citoscheletriche, delle membrane, strutture che complessivamente contribuiscono alla funzionalità delle cellule e degli organi e complessivamente allo stato di salute dell’intero organismo. A tutti i livelli di questa rete complessa i rapporti, la comunicazione e il linguaggio delle cellule fanno parte integrante costituendo l’essenza del nostro benessere. Quando alcuni segnali della cellula sono alterati o assenti possono essere causa di gravi effetti sia sullo sviluppo embrionale che, nell’adulto, causare l’insorgenza di neoplasie [12]

Le informazioni che coinvolgono le cellule possono essere raggruppate fondamentalmente in tre categorie: la comunicazione genetica, quella metabolica e quella nervosa. E’ risaputo, e non mi soffermo, sull’informazione genetica realizzata dal DNA (acido desossiribonucleico), che regola la sintesi proteica e di conseguenza sia le strutture della cellula che dei suoi prodotti, essi stessi possibili vettori di informazione. La comunicazione genetica è l’informazione stessa della vita e come tale è una voce il cui inizio si perde nelle nebbie del tempo e che dura da oltre due miliardi di anni; la sua recente tappa si scandisce di volta in volta durante la proliferazione cellulare e prosegue a volte ramificandosi: il flusso informativo di un ramo si blocca, ma la vita nel suo complesso, la vita che è un sistema emergente, un sistema complesso adattativo [13] scavalca l’ostacolo inventandosi un nuovo percorso, come un torrente in piena quando è ostacolato da una frana in alta montagna. Le eventualità che possono emergere sono diverse: il decorso del torrente devia, conservando le caratteristiche precedenti; oppure può assumerne di nuove o ancora essere definitivamente bloccato (come accade all’insorgenza di una neoplasia) o di un aborto. 

La comunicazione metabolica è finalizzata all’organizzazione funzionale e sinergica delle cellule: al loro sviluppo e al loro differenziamento. L’ambiente corporeo é unificato dalla comunicazione metabolica in relazione a stimoli ambientali interni ed esterni e rappresenta il substrato dell’identità del nostro organismo. 

I segnali sono di diverso tipo: segnali autocrini, che agiscono sulle cellule della stessa linea cellulare che li produce; i segnali paracrini che raggiungono le cellule per diffusione, come ad esempio l’Istamina, e i segnali endocrini, che sfruttano il flusso ematico per raggiungere le lontane cellule bersaglio. 

I messaggi, siano essi ormonali o di altro genere, vengono rilasciati dalle cellule secernenti in forma di molecole e trasportate a distanza, e pur incontrando un numero enorme di cellule di diversa tipologia, vengono riconosciuti solamente dalle cellule “bersaglio”, attrezzate ad identificarli con recettori simili a serrature specifiche e complementari alla molecola chiave inviata. Quando l’ormone messaggio è riconosciuto dalla cellula bersaglio innesca una reazione endocellulare, fosforilando alcune proteine, che modificate sono il preludio di determinate e specifiche funzioni cellulari. La capacità di comunicare, di ricevere ed di rispondere ai segnali che arrivano dall’esterno è un processo basilare per la vita; gli organismi monocellulari, granelli di polvere di vita, vengono informati dai recettori superficiali di membrana della presenza di ossigeno, di luce, di sostanze nutritive, ed anche dell’esistenza di sostanze nocive: di predatori o di competitori. Questi segnali inducono risposte motorie diversificate: verso il cibo o di fuga dal nemico o dai tossici. Anche le cellule degli organismi pluricellulari, come in ogni essere umano, sono fondamentalmente interconnesse con l’ambiente che le circondano. 

Le cellule, fondamentalmente simili, ma con funzioni diverse, si scambiano numerosi segnali ed informazioni: quelle delle piante sono sensibili ai fattori di crescita ed alle variazioni della luce, quelle degli animali si informano della loro corretta posizione sin durante lo sviluppo embrionale e sulla concentrazione di glucosio e di nutrienti dell’ambiente intercellulare. 

Il segnale di pericolo viene lanciato alle cellule vicine ed il segnale è avvertito anche da quelle lontane; come avviene tra gli animali anche di specie diverse e tra le piante. Recentemente ricercatori dell’Università di Torino e del Max Plank Institut hanno individuato una strategia difensiva delle piante dei fagioli [14] verso i bruchi: quando una foglia viene a contatto con la saliva dei famelici insetti, emette dagli stomi una proteina volatile odorosa avvertita da altre foglie e dalle vespe, che arrivano in aiuto della pianta; le vespe infatti depongono le uova nel corpo del bruco, lo uccidono, per nutrire la loro discendenza. Il profumo emesso dagli stomi delle foglie è un segnale di pericolo per la pianta, un segnale di vita per le vespe e contemporaneamente rende la natura profumata. Del resto le foglie ed i fiori sono belli sia a vedersi che ad inebriarci con il loro profumo. L’armonia del mondo è una rete che ha mille possibilità per essere avvertita! Peccato che non tutti ci facciano caso! 

E’ stato calcolato che un uomo di taglia media è formato da 75.000 miliardi di cellule e nessuno di noi è conscio di possedere questo infinito universo: viviamo senza essere consapevoli di noi stessi! Se per un attimo riflettessimo di essere il risultato di milioni di milioni di cellule che svolgono funzioni le più disperate e che ognuna di loro occupa uno spazio ben preciso e definito e tutte sono organizzate in gruppi e fanno parte di tessuti e di organi che ci permettono di vivere, dobbiamo ovviamente accettare che questa immensità di elementi ordinati spazialmente ed integrati funzionalmente, siano tra loro connessi da una fitta rete di relazioni e di informazione. La cellula, il nodo di questa intricata e mirabile rete, deve necessariamente ricevere informazioni dalle cellule progenitrici e, vivendo in questa mirabile comunità, scambiare informazioni e dialogare con le sue simili, ricevendo e a sua volta inviando messaggi. Ogni cellula vive e svolge le proprie funzioni in armonia con quelle simili, che costituiscono il tessuto o l’organo di cui fa parte ed è in armonia con quelle dell’intero organismo, ma dell’organismo sano e felice. 

La più rapida comunicazione è certamente quella nervosa, che si svolge tra i neuroni, cellule che presentano due caratteristiche particolari: sono muniti di lunghi prolungamenti (i dendriti e gli assoni) e sono capaci riprodurre segnali elettrici velocissimi (100 Km al secondo). 

L’impulso nervoso passa da una cellula alla successiva attraversando le sinapsi (σιναπσι= giunzione), ove milioni di neurotrasmettitori vengono liberati e, riconosciuti da recettori specifici del secondo neurone in due millesimi di secondo, producendo un nuovo impulso elettrochimico; e così via, per la successiva catena neuronale. 

Recentemente con la microscopia a doppio fotone [15] si è riusciti a visualizzare le sinapsi, che al passaggio dell’impulso nervoso brillano con una intensa luce verde [16].Considerando che il cervello umano è costituito da 100-1000 miliardi (10 alla 11-10 alla 12) neuroni, ciascuno dei quali possiede 100-1000 dendriti: il numero delle sinapsi risulta pari a 10 alla 12/10 alla 13! E calcolando che in media ogni neurone dialoga con gli altri attraverso 1000 sinapsi Il numero delle reciproche connessioni sinaptiche é quindi 100 mila miliardi. Ci stupiamo ad osservare il cielo stellato: non lo sappiamo, ma è uno specchio di noi stessi! 

La configurazione globale di queste connessioni è il substrato con il quale il cervello reagisce alle informazioni sensoriali, risponde agli stati emotivi, memorizza il passato, pianifica ed elabora il suo comportamento attuale e futuro. 

Il cervello era considerato sino a pochi anni fa un organo statico ed immutabile, perché costituito da cellule non capaci di dividersi e di proliferare. Ora invece sappiamo che il cervello è un organo dinamico, autopoietico, plastico, perché riesce a sviluppare continuamente nuove connessioni neuronali. 

Recentemente é stato dimostrato che la Cipina (una proteina isolata nel ’99) controlla la crescita dei dendriti, cementando le molecole di supporto. L’Autrice dell’articolo [17] sostiene e consiglia che mantenendo in attività i nostri neuroni facciamo aumentare la concentrazione di questa proteina e che, nell’atto stesso di leggere o di pensare, la Cipina si attiva per dirigere nuove ramificazioni neuronali e nuove connessioni. Anche la Semaforina 7a realizza una azione plastica analoga sulla crescita degli assoni, inducendoli ad agganciarsi alle integrine, molecole di adesione cellulare che introducono i segnali all’interno della cellula [18]

Questi esperimenti danno conferma all’ipotesi del “Darwinismo neurale” di Edelman, secondo cui lo sviluppo del cervello si baserebbe sul principio della selezione neurale: praticamente le connessioni tra i neuroni sarebbero il frutto dell’esperienza e solo in minima parte stabilite dal codice genetico. 

Anche il pensiero e le funzioni della mente emergono da strutture non pensanti; Daniel Dennet - professore di filosofia di Tufts - considera il pensiero una proprietà emergente: per Dennet non esiste un centro che controlla il comportamento, una sede in cui risiede “l’anima" di un essere: L'Io di un vivisistema è una proprietà emergente, è un fantasma che può essere solo rappresentato da un vortice di una moltitudine di funzioni, ciascuna con caratteristiche diverse come le singole gocce d'acqua di un mulinello emergente. 

Lo studio strutturale e funzionale del cervello ci fa trarre le seguenti considerazioni: i neuroni si presentano fondamentalmente come una rete locale strutturalmente ordinata; ma sappiamo dell’esistenza di un numero esiguo di fibre nervose che collegano regioni cerebrali lontane, sino ad aree dell’emisfero opposto; e questa è una tipica rete “piccolo mondo”, che chiarisce quello che succede, ad esempio, quando appendendo un quadro alla parete ci pestiamo un dito col martello. 

Se la rete nervosa fosse solamente ordinata la nostra reazione sarebbe certamente più lenta, perché la trasmissione nervosa dovrebbe interessare centinaia o migliaia di connessioni; viceversa è immediata e non univoca: in primis vengono interessati i motoneuroni dei muscoli delle dita della mano, il che determina la caduta del quadro (!), ma il segnale arriva ai muscoli laringei, del torace, della lingua per esternare l’imprecazione, che, a volte, si ammanta di connotati culturali o religiosi! La struttura a rete “piccolo mondo” giustifica questa reazione unitaria. Ma dobbiamo fare una seconda considerazione che non riguarda solamente la rapidità e l’efficienza del funzionamento della struttura piccolo mondo, ma giustifica anche la riduzione di un malfunzionamento in caso di un danno di nodi locali, che non si diffonde ad altre strutture Ad esempio, pazienti, che presentano, una lesione circoscritta dell’area di Broca (del linguaggio) non sono in grado di articolare le parole, ma sono capaci di eseguire calcoli matematici e non hanno nessuna difficoltà a progettare la loro giornata. 

L’autorganizzazione si manifesta anche a livello dell’organismo e si realizza nel difendere la salute in contrasto alle malattie contribuendo alla guarigione. 

La principale strategia,che l’organismo attua al fine di preservare la propria integrità, è proprio l’autoguarigione, benché non considerata da nessuno (medici copresi), ma da tutti usufruita senza saperlo. 

Le malattie, le allergie e le neoplasie e in genere tutte le malattie sono sistemi auto-organizzati, simili alla macchia rossa di Giove, sistema stabile e ordinato in un contesto caotico, e sono il risultato dell’auto-organizzazione dell’anticaos dei sistemi dinamici fisiologici che sappiamo essere caotici. Sappiamo anche che in natura, dalla più semplice molecola esistente, sino all’Universo stesso: tutte le strutture viventi e la vita stessa nel suo divenire sono costituite da reti; le cellule ad esempio sono reti di molecole connesse tra loro da reazioni biochimiche; il cervello anch’esso è un insieme di reti di cellule nervose connesse da dendriti, dagli assoni e dai mediatori neuronali. Il nostro linguaggio ed i nostri pensieri, che sono il frutto dei nostri ricordi e che esprimono le nostre speranze, rappresentano una ragnatela dinamica che evolve, recepisce ed esiste come una rete pluridimensionale della quale una dimensione è quella che ha stretti rapporti col nostro corpo. 

Ma il dato più interessante che qui voglio mettere in risalto è che la totalità dei sistemi complessi, costituita da reti, presentano tutti nel loro interno una struttura simile che sottostà a principi organizzativi comuni. Ed attualmente stiamo arrivando al punto di iniziare a decifrare questa struttura organizzativa sottesa e comune a tutti i sistemi complessi: alle strutture fisiche, alle strutture biologiche, alle malattie e, nello specifico, all’autoguarigione. Il nostro universo è totalmente pervaso e forse si identifica con questa forza organizzativa, i cui meccanismi risultano molto più semplici di quanto si possa immaginare. 

Benché in natura non esista nessun sistema fisico che presenti una dinamica più complessa del nostro organismo, costituito da una miriade di reti non statiche, ma intese come una ragnatela dinamica, costituita a sua volta da reti polidimensionali, studiabili compiutamente e ben interpretabili se considerate nello spazio delle fasi, in modo da poter essere espresse e riassunte dall’attrattore caotico corrispondente [19]. Ciononostante l’autoguarigione é una condizione comune a tutte le strutture viventi e si evidenzia a tutti i livelli : a livello molecolare, cellulare, tissutale e organico; il fenomeno risulta macroscopico nei primi stadi evolutivi, basti ricordare il fenomeno della ricrescita del braccio reciso di una stella di mare, fenomeno talmente imponente da permettere la ricostruzione di una nuova stella di mare dal braccio troncato. O ricordarci di come una lucertola, privata della coda, riesca a riformarla. Questo fenomeno si attenua con la complessità delle specie, ma si conserva e si potenzia a livello molecolare, cellulare e tissutale. 

Sappiamo che la riproduzione delle cellule del nostro organismo avviene per duplicazione del proprio DNA, a cui fa seguito la divisione della cellula in due cellule “figlie”; in condizioni fisiologiche l’omeostasi del numero delle cellule dei singoli tessuti è garantita dall’armonico equilibrio tra la proliferazione cellulare da un lato, la senescenza e la morte cellulare dall’altro. 

Le cellule, che consideriamo anch’esse nodi della rete, ricevono continuamente segnali di proliferazione e segnali di morte dal microambiente; e rappresentando essa stessa una rete di reazioni chimiche, elabora questi segnali, e, tramite meccanismi di trasduzione del segnale, li trasmette al nucleo, ove avviene la fine regolazione del ciclo cellulare. 

Per garantire l’identità del patrimonio genetico da trasmettere integro alle cellule figlie esiste una fine rete metabolica cellulare che permette, come detto, la riparazione del DNA alterato, correggendo eventuali mutazioni spontanee o causate da agenti mutageni endogeni: i radicali liberi o esogeni: le radiazioni e gli agenti chimici mutageni. 

Dopo aver completato un numero predefinito di cicli mitotici: di divisioni cellulari, la proliferazione si arresta e la cellula diviene insensibile agli stimoli proliferativi. Il numero di mitosi, cui una cellula somatica può andare incontro è limitato ed è in rapporto alla riduzione progressiva della lunghezza dei telomeri nei cromosomi, perché ad ogni divisione mitotica vengono perse circa un centinaio di basi del DNA all’estremità 5’ del cromosoma, tanto che la lunghezza del telomero si riduce da 15mila a poche migliaia di basi. Questa riduzione, che è causa della senescenza della cellula e in definitiva dell’intero organismo, non avviene né nelle cellule germinali (nei gameti) né in quelle staminali (cellule che rimangono giovani e possono essere considerate dei serbatoi per la proliferazione di una data “famiglia” cellulare), perché in queste la lunghezza dei telomeri viene mantenutaua costante dall’attività di una trascrittasi inversa: la Telomerasi che aggiunge di volta in volta nuove sequenze TTAGGG al DNA dei cromosomi. 

Alcuni potrebbero dispiacersi che le nostre cellule somatiche non posseggono questo enzima della giovinezza: ma forse è meglio così: saremmo tutti dei Matusalemme e lo spazio vitale sulla nostra paziente terra sarebbe ancora più insufficiente! E poi se fossimo immortali, non daremmo spazio alle generazioni future ed impediremmo al fiume della vita ulteriori e positivi adattamenti, precludendo in definitiva alla nostra specie i continui miglioramenti evolutivi. Ciononostante, poiché la posta in gioco è piuttosto allettante le ricerche dell’elisir di lunga vita procede e fa passi da gigante. Lo scorso anno il premio Nobel per la Medicina è stato attribuito a Elisabet Backburn dell’Università della California, a Carol Greider della Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora e a Jack Szostak della Havard Medical School di Boston, per aver individuato una specifica sequenza del DNA, che è in grado di preservare le cellule dall’invecchiamento. Sembrava che i telomeri, essendo formati da sequenze di DNA ripetitive fossero senza alcuna importanza per la vita della cellula. Durante la divisione cellulare l’estremità dei telomeri possono essere non copiate del tutto, il che rende la cellula con sempre minor possibilità di replicazione. D’altra parte il preservare la lunghezza dei telomeri fornisce alla cellula molti “ticket replicativi” che potrebbero innescare la possibilità di un’evoluzione neoplastica. E’ assodato che le cellule neoplastiche nel 95% delle neoplasie riattivano la telomerasi rendendole “immortali”. Gli studi futuri dovranno tener conto di questo equilibrio che ripete, a livello molecolare, il detto “in media stat virtus”! 

Dopo aver completato il numero predefinito di cicli mitotici, le cellule somatiche normali, che sopravvivono a questo incessante e pericoloso equilibrio tra la vita e la morte, vanno incontro all’Apoptosi [20], meccanismo che regola la morte cellulare programmata, il suicidio cellulare. Gli stimoli che inducono la cellula all’Apoptosi sono diversi: la diminuzione dei fattori di crescita, i danni irreversibili del DNA, i segnali pro-apoptotici, trasmessi dai “death receptors” (recettori di morte) e alcune infezioni virali. Nella rete cellulare gli stimoli pro-apoptotici innescano una successione di reazioni proteolitiche, che causano la completa distruzione cellulare: l’involucro cellulare si disgrega, il citoscheletro si dissolve, il DNA nucleare si frammenta e la cellula, quel che rimane della cellula, subisce la fagocitosi da parte dei macrofagi, senza innescare il processo infiammatorio, che invece avviene – ed è bene ricordarlo – in caso di morte cellulare non programmata; in questo caso si ha la liberazione degli enzimi cellulari, che rappresentano il primum movens dell’infiammazione. 

Il DNA, la molecola della vita e depositaria delle informazioni geniche che si perpetuano nei millenni, è tuttavia una molecola estremamente reattiva e delicata, che ogni giorno in ogni cellula del nostro organismo, può subire complessivamente fino a 100.000 modificazioni, ciascuna delle quali può innescare un tornado malformativo con la possibilità di dare inizio all’insorgenza di un tumore, attivando proto-oncogeni o inattivando i geni onco-soppressori. Tuttavia le cellule fortunatamente sono in possesso di diversi meccanismi per bloccare questa evenienza: inibendo la replicazione cellulare, in modo che la lesione genica non possa essere trasmessa alle cellule figlie o dando tempo per la riparazione del DNA alterato, esempio molecolare di auto-guarigione. Se però la lesione é grave, tale da non poter più essere riparata, le cellule dispongono di un secondo meccanismo, più drastico: l’apoptosi, ovvero la morte programmata: il suicidio cellulare, che evita il perpetuarsi del danno. 

La risposta al danno del DNA è essenziale per la vita della cellula e per evitare la malattia neoplastica. La segnalazione del danno è trasmessa rapidamente alla rete metabolica cellulare per poter innescare prontamente i meccanismi di auto-guarigione. 

La risposta cellulare e le conseguenze del danno del DNA dipendono dalla lesione: se è riparabile la cellula sopravvive, se la lesione è irreparabile o si ha l’attivazione dell’apoptosi o si determinano mutazioni e alterazioni cromosomiche con conseguente trasformazione neoplastica della cellula. 

Esistono numerosi meccanismi riparativi del DNA: quella del Mismatch Repair (MMR), comunemente detta: taglia e cuci, in cui si ha la rimozione dei nucleotidi non correttamente appaiati; la Nucleotide Excision Repair (NER) e la Base Excision Repair (BER) che consiste nella riparazione delle lesioni prodotte da agenti mutageni esogeni come le irradiazioni ultraviolette o dalle mutazioni indotte dal metabolismo ossido-riduttivo cellulare e ancora altre come l’ Homologous Recombination (HR) e N-Homologous End-Joining (NHEJ) che riparano le lesioni di entrambi i filamenti del DNA. 

L’autoguarigione si evidenzia anche a livello metabolico; dobbiamo pertanto ricordare che la vita procede per tentativi ed è come un ruscello, che trova l’alveo più adatto e supera gli ostacoli che a volte si frappongono ed è comunque capace di continuare il suo corso verso il futuro. Sappiamo che è iniziata tre miliardi di anni fa in un ambiente privo di ossigeno, e, quando nel suo iniziale lento e sonnacchioso fluire si è ritrovata ad essere immersa in un’atmosfera di ossigeno prodotto dai cianobatteri e dalle alghe azzurre, ha dovuto modificare le sue strutture adattandosi al nuovo ambiente; a ricordo della precedente fase, durata milioni di anni, le strutture cellulari hanno conservato il metabolismo anaerobico [21], ma hanno aggiunto nuove strutture: i mitocondri [22] nelle cellule animali ed i cloroplasti [23] in quelle vegetali, che possiamo definire il “turbo della vita”, tanto che 600milioni di anni fa nel Cambriano sono state il primum-movens dell’esplosione della vita. Pressappoco in quell’Era c’è stata la comparsa degli organismi pluricellulari ed il sonnacchioso ruscello della vita ha subito un’accelerazione, che per similitudine ricorda le cascate del Niagara! E’ impressionante il numero dei pluricellulari, tra cui ricordiamo la Picaia gracilensis il primo cordato da cui tutti noi discendiamo! 

Ricordiamoci pertanto che nei primi tempi, in cui iniziò il nostro ruscello, l’ossigeno era tossico. Bene. Le nostre strutture cellulari attuali: il DNA in primis, le membrane cellulari, i mitocondri e tante altre ancora, sono estremamente sensibili ai radicali liberi dell’Ossigeno, che per loro rappresentano tossici distruttivi. Infatti durante le reazioni biochimiche di ossidazione, che portano alla trasformazione del glucosio, dei grassi e degli aminoacidi in anidride carbonica ed acqua con produzione di energia chimica sotto forma di Adenosintrifosfato (ATP), vengono liberate molecole di ossigeno, chiamate radicali liberi. Dei sei elettroni esterni della molecola di ossigeno quattro sono appaiati, i due rimanenti elettricamente squilibrati cercano disperatamente un altro elettrone cui accoppiarsi. Tendono perciò a sottrarre elettroni ad altre molecole danneggiando i mitocondri, le proteine ed ossidando i lipidi di membrana. Ma, nel corso di milioni di anni la cellula si è adattata, si è autorganizzata a questa evenienza, sviluppando meccanismi di difesa, che provvedono a neutralizzare i radicali liberi trasformandoli in acqua ad opera di enzimi: gli “scavengers” (=spazzini), cioè i famosi antiossidanti; il più importante dei quali é la Superossidodismutasi (SOD). Nell’economia dell’organismo anche i radicali liberi sono utili. L’endotelio dei vasi sanguigni li produce per controllare la contrazione vasale: un radicale libero, l’ossido nitrico (NO) è essenziale per mantenere dilatati al punto giusto i vasi sanguigni e quindi permettere una corretta circolazione sanguigna. I radicali liberi vengono utilizzati dai neutrofili e dai macrofagi per la loro potente azione battericida. 

L’organismo dispone di vari sistemi per prevenire e riparare i danni molecolari causati dai radicali liberi, ma, la loro azione è imperfetta e la loro efficacia declina con l’avanzare dell’età. L’attività preventiva e curativa è svolta da sostanze antiossidanti: la Superossidodismutasi, il cui gene è situato sul braccio lungo del cromosoma q 21, il Glutatione, la Perossidasi, la Catalasi, l’acido urico, i sistemi di riparazione delle proteine (le proteasi, le peptidasi), i sistemi di riparazione dei lipidi come le fosforilasi, le acetil-transferasi, la transferasi, i sistemi di riparazione del DNA: la eso e la endo-nucleasi, la glicosilasi, la polimerasi, la ligasi. Tutte queste sostanze svolgono azione antiossidante, ma presentano due limiti: il primo consiste nel non poter incrementare, se i radicali liberi vengono prodotti in eccesso; ed il secondo è che l’efficacia antiossidante declina con la senescenza. 

I radicali liberi del resto possono essere contrastati da sostanze esogene che possono e devono essere assunte con la dieta; le vitamine C, E, B1, B3, B6, i carotenoidi: l’α-carotene ed il β-carotene, il licopene (il pigmento rosso dei pomodori, del peperoncino e dell’anguria), la beta criptoxantina (contenuta nella frutta), i bioflavonoidi tra cui la quercitina contenuta nelle ciliege, nell’uva, nei vini rossi, nel succo di pomodoro, nella cipolla. Anche il selenio (componente della glutatione-perossidasi), il rame, essenziale per molti enzimi, il manganese componente della Superossidodismutasi (contenuto nel germe di grano, nelle nocciole) e la cisteina (precursore della perossidasi) e l’istidina sono elementi importanti nella dieta, al fine di ridurre i radicali liberi. Le sostanze antiossidanti sono presenti in gran numero nei vegetali perché é dal regno vegetale che viene prodotto l’Ossigeno, tramite la fotosintesi clorofilliana. Il motivo per cui i vegetali sono ricchi di antiossidanti è dovuto al fatto che sono stati i primi ad essersi organizzati in modo da poter “manipolare” l’ossigeno da loro prodotto senza subire alcun danno. 

La vita sana, l’alimentazione equilibrata, il consumo di verdure e di frutta, la non esposizione alle radiazioni ultraviolette, il non fumo, sono tutte indicazioni per ridurre la formazione di radicali liberi. 

L’organismo invecchiando non è più in grado di difendersi dal danneggiamento del DNA dei Mitocondri, fonti di energia e di conseguenza di regolazione della crescita e di tutte le attività cellulari. Infatti nelle persone anziane, alcuni dei trentacinque geni mitocondriali sono danneggiati irreversibilmente. In queste fornaci cellulari la produzione dei radicali liberi è particolarmente intensa ed elevata, e la capacità di generare energia decresce negli anni. Pare inoltre che molte malattie senili, come il Parkinson e la malattia di Alzheimer, siano causate da danni mitocondriali. 

L’autoguarigione interessa non solo la doppia elica del DNA, ma anche i costituenti la rete metabolica cellulare e pertanto le cellule stesse, intese come individualità funzionali. Le cellule per svolgere le attività cui sono deputate, devono salvaguardare la propria individualità in modo da essere separate dall’ambiente extracellulare. La membrana, che le separa dall’esterno, è in continuità col citoscheletro ed ha la funzione di isolarla, permettendo il passaggio di materiale nutritivo, e di molecole che, nei due sensi, svolgono la funzione di messaggeri. Una rottura della membrana plasmatica è causa della fuoriuscita del citoplasma e dell’inevitabile morte cellulare. E’ stato individuato recentemente un meccanismo di auto-guarigione che consente alla cellula di riparare le lesioni della sua membrana. Il gruppo del prof. Meldolesi, del San Raffaele di Milano, ha dimostrato che nel citoplasma cellulare sono presenti degli organuli a forma di minuscole vescicole in grado, in caso di rottura della parete, di fondere la propria membrana con quella cellulare e di riparare la falla nel giro di qualche secondo. A questi organuli é stato dato il nome di “enlargosomi [24]. Un meccanismo di riparazione della membrana citoplasmatica del resto era già noto, dopo una rottura causata dall’azione del Complemento: la riparazione, in quel caso, consisteva nell’eliminazione della porzione interessata. 

L’auto-guarigione dei tessuti è un processo riparativo, che consta principalmente di tre fasi: la rigenerazione delle cellule parenchimali [25] o degli epiteli, la ricostruzione del tessuto connettivo di sostegno e, in caso di organi costituiti da elementi cellulari perenni, la sostituzione delle cellule perenni morte, con tessuto fibroso. L’auto-guarigione dei tessuti e degli organi è un complesso sistema di reti del quale fanno parte integrante numerosi componenti [26]

La matrice extracellulare, ad esempio, possiede diverse funzioni: il sequestro di acqua, a ricordo del primitivo ambiente, che rappresenta ed ha rappresentato l’habitat delle cellule ancestrali e garantisce attualmente il turgore dei tessuti, costituendo il substrato che facilita la migrazione cellulare; le cellule, immerse in questo ambiente: riescono a crescere, a muoversi e a differenziarsi nella matrice extracellulare che influenza profondamente queste funzioni. 

Il Collagene costituisce l’intelaiatura extracellulare di tutti gli organismi pluricellulari ed è la sostanza ubiquitaria degli organi. Ovviamente la riparazione non può essere ottenuta mediante la sola rigenerazione cellulare; l’organismo tenta di riparare il danno tissutale con la sostituzione delle cellule parenchimali perdute e col tessuto connettivo. Si attua cioè un processo di fibrosi con comparsa di cicatrici o di aderenze in caso di infiammazione delle sierose. Il processo di fibrosi inizia con la formazione di una nuova rete vascolare: l’angiogenesi, che permette la migrazione di fibroblasti, la successiva deposizione di nuova matrice extracellulare (ECM), l’organizzazione e il rimodellamento col nuovo tessuto fibroso. Lo stesso fenomeno avviene durante la guarigione delle ferite: fenomeno complesso, ma ordinato, che coinvolge diversi meccanismi: l’induzione di un processo infiammatorio, la rigenerazione delle cellule epiteliali o parenchimali, la migrazione di cellule parenchimali e del connettivo, la sintesi della matrice extracellulare, il rimodellamento ed infine la riorganizzazione del collagene, che contribuisce alla guarigione ed all’acquisizione della resistenza meccanica. Quando si verifica ad esempio una ferita, si ha la rottura dei vasi sanguigni con fuoriuscita di sangue. I vasi recisi immediatamente si contraggono, svolgendo il ruolo dell’emostasi vasale, impedendo al sangue di fuoriuscire dal vaso reciso, e, dopo pochi secondi, quando la contrazione dei vasi termina, inizia il processo coagulativo: una rete complessa di attivatori e di inibitori, favorito prontamente dalla Tromboplastina tissutale. Lo stravaso ematico, il coagulo che si forma, è già di per sé sufficiente ad innescare i tipici eventi della risposta infiammatoria con conseguente migrazione dei leucociti: granulociti neutrofili e monociti, elementi questi che rivestono un ruolo fondamentale trasformandosi in macrofagi, elementi in grado di fagocitare i detriti cellulari e di rilasciare numerose citochine, responsabili del segnale di induzione della proliferazione dei fibrociti e degli endoteli. 

Perché inizi il processo riparativo é necessario che venga anzitutto attivata la complessa rete delle citochine pro-infiammatorie. A questo punto, neutralizzata l’attività pro-infiammatoria, può aver inizio il processo riparativo vero e proprio, che consiste nella ricostruzione di una rete vascolare, cioè l’angiogenesi, nella rigenerazione delle cellule epiteliali e nella sintesi di neo-connetivo e di nuova matrice extracellulare. Perché avvenga la riparazione del tessuto connettivo, l’azione dei macrofagi da sola non è sufficiente, occorre che l’area interessata possa fruire di un apporto adeguato di sangue, il che avverrà in seguito al processo angiogenetico, generalmente dopo una settimana, con la formazione di nuovi vasi, che emergono da gettoni endoteliali e che si uniscono formando anse ed arcate, che già dopo poche ore si canalizzano consentendo il fluire del sangue nel lume neoformato, per apportare i fattori necessari. 

Recentemente Yuichi Oika ed il suo team della Keiko University di Tokio, al fine di individuare le basi genetiche della formazione dei vasi sanguigni, hanno ottenuto dei topi con pelle e palpebre ipertrofiche e molto spesse. In questi animali hanno dimostrato che viene prodotta in rilevanti quantità una proteina: l’Angioprotein-Related Growth Factor (AGF), che favorisce lo sviluppo sia della pelle che dei vasi sanguigni. Questa proteina facilita, ovviamente, l’afflusso di sangue nei pressi di una ferita, contribuendo pertanto ad una sua più rapida auto-guarigione. 

Nel caso dell’auto-guarigione del tessuto osseo in seguito a frattura, il processo si attua in quattro fasi: travaso ematico cavitario, posizionamento delle cellule ossee (osteoclasti ed osteoblasti) sul perimetro della cavità, produzione di neocollagene con rimozione progressiva dell’osteocoagulum, proliferazione dei vasi, produzione tridimensionale del collagene, proliferazione tridimensionale delle cellule ossee ed infine mineralizzazione delle fibre collagene con cristalli di idrossiapatite e fosfatasi alcalina. 

Il tessuto cerebrale di ratti danneggiato dall’ischemia stimola la maturazione di cellule neurali staminali e la loro migrazione verso l’area colpita dall’insulto ischemico [27]: i nuovi neuroni rimpiazzano quelli distrutti e nell’arco di qualche settimana si connettono alla rete delle cellule integre circostanti. Purtroppo il fenomeno non permette il recupero totale del danno! 

Ho tentato di fare una rapida e superficiale carrellata dei meccanismi biologici dell’auto-guarigione, accennando a quelli molecolari del DNA, del metabolismo cellulare, delle cellule stesse, e dei tessuti; ma, a questo punto devo rapidamente ricordare l’esistenza di tantissime forme morbose, che trovano la loro patogenesi nell’alterazione, nella riduzione o nell’assenza dei meccanismi di auto-guarigione e di difesa. Posso solo accennare alle anomalie del poderoso capitolo delle malattie che interessano la rete immunologia: le malattie autoimmuni: dall’artrite reumatoide, al lupus, alla sclerodermia, alle diverse connettiviti; capitolo di patologia che trova nell’alterazione della rete immunitaria il substrato e l’essenza della propria entità. E poi il vasto capitolo delle immunodeficienze nelle quali il deficitario funzionamento del sistema immune, che di volta in volta si estrinseca con un deficit dei meccanismi aspecifici di difesa (interessanti i granulociti neutrofili, i macrofagi), oppure con difetti dei linfociti B, responsabili dell’immunità umorale (Agamma-globulinemia X-linked, l’ipogamma-globulinemia comune variabile, deficit selettivo di IgA), o dei linfociti T, dell’immunità cellulare, che sfociano nelle gammopatie monoclonali (Mieloma Multiplo, Malattia di Waldestrom) e nei Linfomi. 

Esiste un altro gruppo di entità morbose causate dalla difettosa regolazione del sistema nervoso autonomo; sono malattie di estrema gravità, a dir il vero, poco conosciute sia per la loro relativa rarità che per la loro difficile diagnosi dovuta all’estrinsecazione di sintomatologie inquadrabili in diversi contesti e rapidamente mortali. 

Dobbiamo ora considerare la diffusione di patologie causate dall’asincronia evolutiva tra il lento e naturale modificarsi della nostra catena genomica e la tumultuosa e logaritmica variabilità della vita sociale e culturale in cui da poche centinaia d’anni siamo immersi ed inconsapevoli attori. 

Siamo in possesso di una struttura organica idonea alla corsa, allo sforzo fisico correlata ad una alimentazione idonea ad una vita che non è quella nostra attuale basata sulla sedentarietà, sulle ripercussioni ansiogene della vita di relazione e su di una alimentazione modificata dalla cultura dell’edonismo e dalla fretta. Siamo adusi a consumare alimenti impregnati di sostanze chimiche aggiunte per la colorazione, la conservazione di cui non conosciamo ancora la tossicità cumulativa. Siamo immersi in un ambiente in cui anche l’aria è vettrice di veleni di cui non possiamo difenderci e viviamo in un ambiente non favorevole che determina nel nostro organismo non preparato modificazioni somatiche patologiche: le neoplasie, l’incremento di malattie metaboliche: obesità, diabete, aterosclerosi ed anche cardiovascolari consequenziali, e di chissà quante altre che in seguito si aggiungeranno. Fattori nocivi essi stessi selettivi per la nostra specie, che potrà tra centinaia e migliaia d’anni forse aver sviluppato condizioni di difesa. E’ questa la nuova prospettiva interpretativa della medicina genetica enunciata recentemente al festival della scienza di Bergamo [28]

Dobbiamo dare per scontato e considerare che il nostro organismo è un insieme di elementi che costituiscono una rete. 

Ora, per evidenziare i diversi effetti di una noxa patogena nel nostro organismo, in poche righe devo fare una premessa che anicipa in minima parte il capitolo successivo riguardante le reti. 

Le reti possono essere: ordinate, casuali o aleatorie, reti “com’è piccolo il mondo” [29] e ad invarianza di scala. In una rete ordinata la distribuzione dei collegamenti di ciascun nodo è espressa da una curva gaussiana, indicando che ciascun nodo possiede pressappoco lo stesso numero di connessioni dei rimanent e sino a pochi anni fa si credeva che la distribuzione dei collegamenti di una rete casuale fosse simile a quella ordinata, ma gli studi di Albert Lazlo Barabasi e di Eric Banabeau dell’Università di Notre Dame [30], hanno messo in evidenza che la distribuzione delle connessione tra i nodi della rete ad invarianza di scala è estremamente diversa, e non si esprime con una curva gaussiana, ma con una curva alla potenza, il che indica l’esistenza di tantissimi nodi della rete con poche connessioni e di pochi nodi con un numero spropositato di collegamenti; curva alla potenza che è l’espressione del fattore tempo. Questi dati sono emersi analizzando la rete Internet. 

A questo tipo di rete è stato dato il nome di “Scale free” (= fuori scala) e si è visto che è ubiquitaria: la ritroviamo nelle reti sociali, nelle reti di collaborazione scientifica, nella rete Web, nelle reti sessuali (doppiamente alla potenza!), nelle reti economiche, che collegano le varie industrie, associandole, e potrei continuare all’infinito. L’importante è considerare come si formano le reti fuori scala. Si formano con un processo di collegamento preferenziale. I nodi – chiamiamoli ricchi – quelli molto importanti sono i pionieri, quelli che inizialmente hanno acquisito una posizione preminente. Gli altri si sono aggregati via via come i pedoni dell’ammasso a diffusione limitata di Litten Sanders [31]

Esiste pertanto una gerarchia di nodi che é frutto dell’evoluzione stessa in campo biologico e ci fa comprendere il diverso livello gerarchico esistente, ad esempio, in campo metabolico o strutturale: esistono nodi che posseggono una rilevanza biologica essenziale ed esistono nodi con un’importanza ridotta. La gerarchia dei nodi della rete metabolica emerge anche dagli studi di Zoltan Oltvai e Coll., biologo cellulare della North-Western University che hanno studiato le reti metaboliche [32] di 43 diversi organismi tra cui un Archeobatterio, l’Escherichia Coli ed il Caernoshabtidis elegans. In questi le cellule consumano sostanze nutritive scindendo le molecole complesse per trarne energia. Ogni nodo è una particolare molecola ed ogni collegamento è una reazione biochimica: la rete è “fuori scala”: la maggior parte delle molecole partecipa solamente ad una o due reazioni, ma alcune, come l’acqua o Adenosintrifosfato (ATP) intervengono nella maggior parte delle reazioni. E’ ovvio che una noxa patogena che coinvolge un nodo che presenta pochi collegamenti avrà scarsi effetti nocivi, mentre se interessa uno con tanti collegamenti sarà estremamente dannosa. La diversa importanza dei nodi della nostra rete cellulare può essere spiegata prendendo come esempio la morte improvvisa di una persona sana, in cui il funzionamento di un singolo nodo determina l’exitus. Ricordiamo che questa patologia, la cui causa a volte nemmeno al tavolo autoptico è dimostrabile, solo recentemente è stata chiarita individuando il gene responsabile [33] di questa nefasta condizione. Di contro esistono persone anziane piene di acciacchi e di gravi menomazioni, con gravi malattie invalidanti sin dall’età giovanile, che accompagnano il feretro del “sano”, portatore di quell’unico difetto! 

Ma quale è il rapporto concettuale tra quanto detto a proposito delle reti e il tema dell’Auto-guarigione? 

Nelle reti del nostro organismo le alterazioni possono venir by-passate (autoguarite), se il nodo compromesso non risulta essenziale, non è un nodo “ricco”, se viceversa il nodo è essenziale scatta l’apoptosi nel caso della singola cellula, la progressione della malattia, se il danno é by-passato, o la morte dell’individuo ammalato nel caso dell’interessamento di un nodo essenziale. 

E ritornando all’autoguarigione con questa rapida carrellata ho spiegato come sia essenziale e risulti indispensabile per qualsiasi guarigione, a qualsiasi livello della rete organica interssata: noi guariamo, con l’aiuto essenziale dell’auto-guarigione, che il Medico ha il dovere di conoscere e soprattutto di rispettare. Questa realtà comunque è conosciuta, ma relegata nel silenzio forse per una questione che prescinde la verità scientifica! Se poi i meccanismi di autoguarigione del nostro organismo risultano in alcuni casi, purtroppo in molti, insufficienti, in un prossimo futuro, che per fortuna sta per iniziare, potremo essere aiutati da altri noi stessi: (clonati!) o più semplicemente utilizzando le cellule staminali [34], che hanno la possibilità di differenziarsi, se ben guidate con specifici fattori di crescita, trasformandosi nelle cellule di qualsiasi tessuto organico. 

In effetti stiamo entrando, senza averene ancora la piena consapevolezza, in una nuova fase della medicina: la medicina dell’Autoguarigione [35]

Da alcuni anni vi é un fiorire continuo di ricerche sull’utilizzo delle cellule staminali; ad esempio sono state iniettate cellule staminali ematopoietiche umane in occhi di ratti inducendo dopo 4 - 6 settimane la formazione di una neo-vascolarizzazione; questo studio preliminare apre la via all’autoguarigione della retinopatia diabetica, piaga estremamente grave e diffusa. 

E’apparso un articolo su Proc. Natl. Acad. Sci. [36] ove si riferiva la possibilità di recuperare cellule staminali da ovociti di scimmie, stimolate a dividersi senza l’aggiunta di spermatozoi; le cellule staminali ottenute (le Cyno-1) presentavano marcatori comuni alle cellule staminali e possedevano un numero normale di cromosomi: queste cellule, stimolate con fattori di crescita ed iniettate nei topi hanno formato tumori benigni composti dai vari tipi di tessuti, per le quali erano state stimolate. Questi risultati ci prospettano che sarà possibile ottenere cellule staminali totipotenti da uova di primati attivate e senza la necessità di creare un embrione vitale! 

E, per finire: é stato identificato un gene [37], che soprassiede la rete genomica responsabile di far riprodurre indefinitivamente le cellule staminali, mantenendo integra la loro capacità a differenziarsi, se adeguatamente stimolate; a questo gene è stato dato il nome di “Nanog”, nome derivato da Tir nan Og, isola leggendaria della mitologia celtica abitata da uomini immortali. Lo stesso gene, indipendentemente, è stato individuato dal giapponese Shinja Yamanaka [38]. Entrambi lavori sono stati pubblicati contemporaneamente sul prestigioso “Cell”. 

Migliaia di ricerche hanno scandagliato a 360° i misteri delle cellule staminali e tutte hanno fornito dei risultati sia escludendo che confermando dei particolari biodinamici, ma tutte complessivamente hanno reso possibile una visione che dal buio iniziale a dalle prime nebbie dell’alba hanno permesso di mettere a fuoco i nodi ed i problemi più significativi di queste cellule pluripotenti. Le cellule staminali infatti sono state impiegate per affrontare e risolvere numerosissimi problemi clinici a volte fallendo ed a volte indicando nuove soluzioni positive e sempre facendo avanzare le conoscenze per un loro migliore utilizzo. 

Dopo anni di continue diatribe etico-religiose sullo studio e sulla possibilità di utilizzo delle cellule staminali embronali, che sarebbero le più idonee ad essere utilizzate, la ricerca si è focalizzata su quelle del cordone ombelicale e su quelle adulte, di difficile isolamento; attualmente le ricerche bio-tecnologiche sono giunte a poter riprogrammare i fibroblasti della pelle sino allo stadio di cellula staminale: le iPS (induced Pluripotent Stem Cells) [39]. Queste cellule possono essere poi manipolate e indotte a trasformarsi in coltura in neuroni o in cardiomiociti. Poco meno di duemila lavori su questi argomenti hanno ormai consolidato lo stato dell’arte per aprire nuovi ed utili traguardi futuri. 

Nel gennaio del 2010 si è riusciti a by-passare lo stato di cellula staminale riprogrammando i fibroblasti direttamente in neuroni [40], e nel maggio Nissim Benvenisty dell’Università di Gerusalemme ha messo in evidenza che la riprogrammazione di fibroblasti di pazienti con X fragile non riesce a spegnere il gene caratteristico della malattia [41]. Il punto cruciale di questi studi evidenzia che le cellule iPs non sono del tutto equivalenti alle cellule staminali embrionali; del resto già nel 2007 Yamanaka [42] aveva previsto che lo studio delle iPs non sarebbero stati completi senza lo studio delle vere cellule staminali embrionali umane. Ciononostante stiamo entrando nel futuro di una nuova fase della Medicina: quella di poter guarire autonomamente con le proprie cellule. 

A dimostrazione ulteriore che dobbiamo considerare il nostro organismo come una rete complessa strutturata da una gerarchia di reti funzionali, che, a vari livelli: macroscopici, microscopici e molecolari si embricano costantemente, tutti percorrendo lo stesso percorso evolutivo proprio della complessità, caratterizzata da una fase auto poietica autorganizzativa costantemente affiancata a quella catabolica, che, in equilibrio rappresentano lo stato di salute come in un cammino sul crinale di un’alta montagna. 

Questo mirabile sistema a livello organico, cellulare e molecolare è del resto regolato dalle semplici leggi che sovraintendono alla formazione ed alla dissoluzione delle reti di qualsiasi struttura.
        
                                            



[1] P. Izzo. “Le reti biologiche ai confini tra ordine e caos” al Convegno “Il cancro fra mente e corpo” . Organizzato dall’Istituto Riza di Medicina Psicosomatica e della Ricerca delle Terapie Biologiche del Cancro. Milano 14.02.2003. Edito in Le Guide RIZA  a cura di Daniela Marafante, Pag.39, Ed  Riza  Milano, 2004

[2] M.C. Mackey e Coll. Oscillation and Chaos in Physiological Control Systems. Science 197, 287-9, 1977

[3] Leon Glass e Coll. Pathological Conditions Resulting from instabilities in Physiological Control Systems. Ann. N.Y. Acad. Sci. 316, 214-35, 1979

[4] Precursori degli elementi cellulari del sangue.

[5] Il ritmo cardiaco normale è definito sinusale ed in patologia esistono numerosisssime varianti patologiche: le aritmie: l’aritmia sinusale, i blocchi atriventricolari, i blocchi di branca, i battiti ectopici Extrasistole), i periodi di Luciani Weinchenbach, le fibrillazioni ed alla fine, inesorabile, l’arresto cardiaco.

[6] Goldberger A.L. Nonlinear dynamics in sudden cardiac death syndrome: heartrate oscillations and bifurcations.Experientia 44, 983-87, 1988

[7] Recentemente Frazzolari N.L. e Coll. (J. Pathol. 178, 100-105, 1996)  hanno proposto un programma di software per studiare le dimensioni frattaliche delle trabecole ossee con il Quantimet (un sistema di elaborazione delle immagini).

[8] Stuart Kauffman in “A casa nell’universo. Le leggi del caos e della complessità”. Editori Riuaniti. 2001

[9] In “La Complessità è il motore della vita”. Introduzione allo studio delle dinamiche caotiche in Biologia e Medicina.” Pag.86. Capone Ed. 2001

[10] Scrivania ordinata è espressione di mente malata.

[11] Walter Freeman La fisiologia della percezione. Le Scienze n. 272. 1991

[12] L’assenza della proteina p53 provoca danni irreparabili ai muscoli ed alle  vertebre dei girini (Cardenonsi M. e Coll. and S. Piccolo Cell  2003 113, 275-6.

[13] Sistema Complesso Adattativo: ogni singola parte di qualsiasi sistema va alla ricerca di un nuovo equilibrio acquisendo nuove  proprietà  della nuova struttura .(Gell Mann).

[14] Fagiolo di Lima (Phaseolus lunatus) e Fagiolo Burlotto (Phaseolus vugaris)

[15] Three modes of synaptic vesicular recicling revealed by single-vescicle imaging. Gandhi SP, Stevens CF. Nature 2003, 423, 591-2

[16] Kiss and run exocytosis at hippocampe synapses. Stevens C.F., Williams. P.N.A.S. 2000, 97, 12828-833

[17] Firestein, docente di biologia cellulare e neuroscienze alla Rutgers University del New Jersey.

Lypin regulates dendrite in hippocampal neurons by promoting microtube assembly.  Barbara Akum e Coll. Nature Neurosciences   V.7, n2, pp 145-152, 2004

[18] R. J. Pasterkamp e Coll, Nature 424, 398-405, 2003

[19] Pietro Izzo “La Complessità è il motore della vita. Introduzione allo studio delle dinamiche caotiche in Biologia e Medicina”. 2001. Capone Ed. (Lecce).

[20] Il termine Apo-Ptosi deriva da: mi stacco - cado da – ed è legato ad una poetica e patetica immagine dei petali di un fiore, che quando sfiorisce, si staccano e cadono come le foglie trasportate dal vento del tempo.
 
[21] Il metabolismo anaerobico non richiede la presenza di ossigeno.

[22] I mitocondri sono organuli cellulari: le centrali energetiche che permettono di attuare la respirazione cellulare, processo in cui si trasforma l’energia chimica in energia fruibile dalla cellula; provvedono inoltre ad ossidare le sostanze organiche ad anidride carbonica, riducendo l'ossigeno ad acqua.

[23] I Cloroplasti provvedono ad ossidare l'acqua ad ossigeno ed a ridurre l'anidride carbonica a sostanze organiche.

[24] Meldolesi J. Surface wound healing: a new, general function of eukaryotic cells. J Cell Mol Med. Jul-Sep;7(3):197-203, 2003

[25] Cellule differenziate degli organi: epatiche del fegato, renali del rene, polmonari del polmone ecc.

[26] I Fattori di Crescita, la Matrice Extracellulare (ECM), il Collagene, l’Elastina, le Glicoproteine, le Integrine, le proteine Matricicellulari, i Proteoglicani e lo Ialuronano.

[27] Arvidsson A., Collin T., Kirik D., Zaal Kokaia Z., Lindvall O. “Neuronal Replacement from Edogenous Precursors in the Adult Brain after Stroke” Nature Medicine 8, 1 settembre, 2002, 963-970

[28] da Francesco Collotta Direttore di Ricerca e Sviluppo del Centro Nerviano Med. Sci.

[29] Watz D. J. And  Strogatz  S. Colective dynamics of “Small-World” networks. Nature 393,440-41, 1998

[30] Barabasi Albert-Lazlo. Linked: The New Science of Networks. Perseus Publishing, 2002

[31] Witten T.A. Jr., Sander L.M. Diffusion-Limited Aggregation, a Kinetic Critical Phenomenon. In Physical Rewiew Letters 49, n 19. 9 novembre 1981

[32] Hawoong Jeong E coll. Nature 411, 41-42, 2001

[33] Pilichou K, e Coll. Circulation. 2006;113:1171-9.

[34] Le Cellule staminali (Stem Cells) sono cellule ematiche totipotenti, in grado di moltiplicarsi e differenziarsi nelle cellule progenitrici delle diverse linee cellulari. Sono normalmente presenti nel midollo osseo, nel cordone ombelicale e in minima quantità nel sangue periferico. Negli ultimi anni il trapianto di cellule staminali da sangue periferico ha assunto rilevanza sempre maggiore nel trattamento di patologie emopoietiche e di alcuni tumori solidi. L'utilizzo di tale trattamento si è rivelato notevolmente efficace, consentendo una drastica riduzione dei disagi arrecati al paziente. Al fine di incrementare il numero di cellule staminali circolanti è necessario un trattamento con fattori di crescita accompagnato da un costante monitoraggio volto a determinare il momento ottimale per eseguire l'aferesi. Le cellule raccolte saranno successivamente reinfuse al paziente consentendo così la ripresa della funzionalità midollare.

[35] Izzo P. “E’ possibile guarire senza l’autoguarigione?” Atti del XIX Congresso Nazionale Soc. It. di Medicina Psicosomatica Varese17-18-19 ottobre 2003

[36] Kent E. Vrana  e Coll. Nonhuman primate parthenogenetic stem cells. PNAS  100, Suppl. 1, 11911-11916, 2003

[37] Chambers I. e Coll. Functional expression cloning of Nanog, a pluripotency sustaining factor in embryonic stem cells. Cell 30, 643-55, 2003

[38] Shinja  Yamanaka e Coll. Cell. 113, 631-42, 2003

[39] Le Cellule staminali pluripotenti indotte sono un tipo di cellule staminali pluripotenti, derivate artificialmente da una cellul non-pluripotente, cioè da una cellula somatica adulta e differenziata.

[40] Vierbuchen T., Ostemeier A., Pang Z. P., Kokubu Y., Sudhof T.C. and Verning M.  Marius Werning. Nature 463, 1035-1041, 2010

[41] Urbach A., Bar-Nur O., Daley G.Q. and Benvenisty N. Differential modelling of fragile X syndrome by human embrionic stem cells and induced pluripotent stem cells. Cell Stem Cell. 7; 6 (5): 407-11, 2010

[42] Shinja  Yamanaka e Coll. Induction of Pluripotent Stem Cells from Adult Fibroblasts by Defined Factors

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