29 La perdita della memoria e
la memoria ritrovata.
Seneca affermò che il bene
risiede nella conoscenza
ed il male nell’ignoranza [1]
Siamo portati ad immaginare e a considerare il sapere, la conoscenza come un fiume: la sorgente, i tanti affluenti, il corso tortuoso dell’alveo e la foce che disperde nel mare le acque che lo alimentano. Questa realtà presenta due aspetti fondamentali: quello analitico basato sui particolari e quello che solo attualmente sta emergendo dagli studi delle reti e della complessità. Consideriamo pertanto un racconto come una rete, un insieme formato da tanti avvenimenti paragonabili agli affluenti del fiume; alcuni partono da lontano nel tempo, poi convergono con tanti altri, per rendere unitaria la storia, intesa come la portata del fiume; dobbiamo ora ricordarci che ogni corso d’acqua presenta numerosi affluenti di diversa dimensione, che, rapportata al loro bacino imbrifero, evidenzierà la tipica curva alla potenza dimostrando un processo organizzativo con un carattere autosimilare tipico di un frattale.
Questa è una visione limitata; non considera le nuvole, le piogge, l’assorbimento della terra ed il formarsi di mille tragitti, che filtrati dal terreno raggiungono la luce ombrosa alla sorgente. Il paragone calza ed il sapere, iniziato poco meno di diecimila anni fa, ha trovato il mezzo per trasmettere le informazioni prima in forma orale provvisoria e destinata il più delle volte all’oblio: ma non sempre, perché, anche se raramente i messaggi inerenti lo stile di vita, le aspirazioni trascendentali e quelle connesse ai rapporti personali e sociali vengono conservate, come è avvenuto per gli insegnamenti di Pitagora [2], di Gesù e di personaggi le cui idee sono riuscite a penetrare la nebbia dell’oblio con le loro verità ecumeniche. Più tardi gli insegnamenti inizialmente sono stati testimoniati sulle tavolette d’argilla, sulle stele delle civiltà mesopotamiche, sui dipinti geroglifici, sui papiri egiziani e sulle lapidi romane. E, come un fiume, le informazioni hanno percorso i millenni, alcune volte scorrendo nelle voragini sconosciute degli abissi dell’oblio, come i fiumi del carso, per poi riapparire alla luce della conoscenza.
A questo proposito vorrei ricordare l’avventurosa storia del Codice perduto di Archimede [3] (il codice C). La vicenda è straordinariamente piena di imprevisti e si perde nella notte dei tempi: per secoli il manoscritto è stato nel buio più profondo, come il fiume Timavo, che, dopo essere stato inghiottito nelle rocce carsiche, alla fine sbocca nel golfo di Trieste nei pressi del castello di Duino.
Dieci anni fa un anonimo miliardario (il sig B.) in una sessione speciale di un’asta della sezione libri e manoscritti della casa Christie’s di New York si è aggiudicato per duemilacentocinquantamila dollari un manoscritto bruciacchiato, ammuffito e quasi illeggibile, di un testo di preghiere cristiane su cui si intravedevano tracce di parole cancellate di un’opera di Archimede. Il testo è stato affidato ad un team di scienziati che hanno utilizzato una raffinata tecnica per immagini a raggi X ad altissima risoluzione e il manoscritto è stato sottoposto allo studio di accademici per essere decifrato. La sorgente del fiume di questo racconto, che qui voglio brevemente riportare è la storia bimillenaria del “Codice perduto di Archimede”, che origina dalla genialità del primo e mai superato eclettico studioso a cui la matematica deve i suoi ineguagliabili pilastri.
Tutte le città dell’antichità sedi delle biblioteche, scrigni del sapere antico, una ad una furono saccheggiate, incendiate e distrutte: ad Alessandria nel 270, durante la guerra contro Zenobia, Aureliano danneggiò una parte della biblioteca del museo; Roma fu invasa nel 412 dai Goti, nel 540 Antiochia saccheggiata dai Persiani, Atene nel 580 dagli Slavi; nel 370 Teofilo, arcivescovo di Alessandria fece distruggere il Sarapeo, la biblioteca gemella del museo, già danneggiato da Aureliano.
Nello stesso periodo (dal I al IV secolo) fortunatamente si svolse una positiva rivoluzione nella storia della memorizzazione dei dati: si iniziò a trascrivere le opere dei codici scritte sui rotoli di pergamena, su fogli più facili da conservare, meno deperibili e più pratici; ad esempio: 200 fogli (quattrocento pagine) dell’altezza di 15 centimetri hanno la stessa area per trascrivere i dati su di un rotolo della stessa larghezza, ma lungo 600 metri! Comunque in quell’epoca il mondo antico spariva e solo pochi classici furono risparmiati: Omero per la retorica ed Euclide per la geometria. Le opere di Archimede avevano il difetto di essere troppo complesse e difficilmente comprensibili dagli scriba e avrebbero interessato un numero esiguo di cultori, benché i suoi suggerimenti fossero stati tramandati con la pratica edilizia. Di tutte le città che subirono il fuoco dei barbari l’unica, che poté essere considerata una sorta di Arca di Noé del mondo classico, fu Costantinopoli la “nuova Roma”, ove tra il 532 e il 537 l’Imperatore Giustiniano (il Noé dei Classici) fece edificare l’edificio più grandioso e moderno del mondo del tempo: la chiesa di Santa Sofia.
Il Codice di Archimede, che ho paragonato ad un fiume, ha percorso più di un millennio scorrendo nelle voragini sconosciute degli abissi del buio dell’oblio, durante i quali tanti avvenimenti hanno rappresentato tanti battiti d’ali responsabili delle dinamiche evidenziate dalla storia di quei tempi: dopo circa mille anni, un affluente del racconto ci trasporta a Pliska in Bulgaria, quando il 26 luglio del 811 Krum, il Khan bulgaro, uccise in battaglia Niceforo I l’Imperatore di Bisanzio; il Principe bulgaro per festeggiare ripetutamente l’evento, si fece fare una coppa da vino col cranio dell’imperatore!
Passarono trent’anni da allora e sei imperatori si avvicendarono dopo l’uccisione di Niceforo I, e arriviamo a Michele II, detto – guarda caso - ”l’ubriaco”. A quei tempi i governanti erano più sbrigativi di quelli attuali e Michele l’ubriaco venne ucciso da Basilio I, il primo imperatore della dinastia macedone. Anche lui era piuttosto violento: nel 1014 imprigionò 14.000 bulgari e ne accecò novantanove ogni cento; i fortunati, ai quali aveva risparmiato la vista, ebbero il compito di riportare i “non vedenti” in Bulgaria. Metodo discutibile, ma per alcuni sicuramente efficace! Basilio I, “il decisionista acceccatore”, ebbe comunque il merito di promuovere la rinascita di Bisanzio, edificando costruzioni imponenti e dando impulso alla produzione di magnifiche e numerose opere d’arte. In quel periodo di benessere ci fu una rinascita culturale testimoniata anche dall’interesse e dalla copiatura dei testi classici rimasti per centinaia d’anni nel dimenticatoio. Il funzionario imperiale, e per due volte patriarca di Costantinopoli, Sozio “il grande”, é passato alla storia come il promotore della edificazione della smisurata Biblioteca di Bisanzio, ove, oltre a far copiare i testi, primo al mondo ebbe l’abitudine di commentarli, tanto da poter essere indicato come il primo critico letterario della storia. Nella sua biblioteca furono copiate trentatre opere degli storici antichi, di cui venti sono state purtroppo perdute ed é di quell’epoca l’utilizzo delle lettere minuscole da parte degli scriba, procedimento che consentì un notevole risparmio di spazio e di tempo; ma questa nuova forma di scrittura ha però determinato la perdita di tutte le precedenti opere originali scritte con i caratteri maiuscoli.
Un secondo affluente del racconto si colloca nel 1204, quando Papa Innocenzo III indisse la IV Crociata; il Doge di Venezia Enrico Dandolo era disposto a fornire una flotta con 4.000 cavalieri, 9.000 scudieri e 20.000 fanti ad un costo di 86.000 marchi. I Crociati accettarono, ma mancavano ancora 34.000 marchi, che furono, ma solo in parte recuperati riconquistando Zara ai veneziani e cedendo parte del bottino per sanare la differenza. Ma la somma raggiunta non era ancora sufficiente. Ci fu anche un risvolto politico: Isacco II, imperatore di Costantinopoli era stato detronizzato nove anni prima dal fratello Isacco III la cui figlia si era sposata con Filippo di Svevia e il figlio Alessio Angelo acconsentì di pagare al Doge 200.000 marchi a patto di divenire imperatore di Bisanzio. La cosa fu attuata col beneplacito del padre, perché in tal modo Costantinopoli avrebbe potuto divenire una città cattolica. Tutto filava per il verso giusto, pur essendo stato posto sul trono il fantoccio Alessio Angelo, ma il debito non era ancora saldato ed i Crociati attaccarono una moschea. Ci fu un rovinoso incendio, che si diffuse rapidamente e durò otto giorni invadendo una fascia di cinque chilometri e distruggendo la città vecchia. A causa di quel disastro gli abitati di Costantinopoli reagirono: uccisero Alessio Angelo e fecero morire il padre di crepacuore. I crociati ripresero le ostilità ed il 12 aprile 1204: aprirono una breccia nelle antiche mura e Costantinopoli il giorno successivo si arrese; il denaro fu recuperato, la città fu presa dai Crociati, la fede cattolica imposta (Up-Down), ma tanta tantissime opere dei classici (non sappiamo quante) andarono perdute finendo in cenere e interrompendo i ponti col passato! Queste le vicende storiche che hanno come le tempeste di sabbia ricoperto e nascosto quel prezioso manoscritto, "Il codice perduto di Archimede", ora affidato al Walter Art Museum di Baltimora.
Del Codice C di Archimede si ignorava addirittura l’esistenza sino al 1906, quando il filologo danese Ludwing Heiberg, lo scoprì a Costantinopoli. Riuscì a trascrivere alcune parti del malridotto testo e le pubblicò su di una rivista accademica; poi il palinsesto originale scomparve nuovamente, per ritrovarsi nelle mani del battitore della casa Christie’s quasi cent’anni dopo.
La sua storia nebulosa si perde nella nebbia del tempo; di certo sappiamo che a Gerusalemme nel 1229 uno scriba riutilizzò la preziosa pergamena per copiare delle preghiere, dopo aver, per fortuna maldestramente, cancellato lo scritto originale. La pergamena rimase nel vicino monastero di San Saba, per ricomparire a Costantinopoli dove fu in parte ricopiato dal filologo danese. Ma, a parte il rocambolesco comparire e scomparire del manoscritto, è essenziale ritornare al pensiero di Archimede la cui genialità era già massimamente valutata, e che con la lettura del Codice C dimostra di aver utilizzato il concetto di infinito, precorrendo di due millenni il calcolo infinitesimale proposto da Leibniz e da Newton nel XVI secolo e la teoria degli insiemi studiati nel XIX secolo! Nel testo fu proposto anche un gioco: lo “Stomachion [4]” (mal di stomaco), un rompicapo geometrico composto da 14 tessere di forma diversa atte a comporre la figura di un quadrato. Lo scopo di Archimede era di calcolare il numero possibile di modi per raggiungere il risultato; è pertanto il primo testo di matematica combinatoriale, rappresentando l’inizio della matematica combinatoria, che rappresenta l’esordio del calcolo delle probabilità!
Scritto duemiladuecento anni fa!
Questa è stata la storia complessa, ma alla fine fortunata del ritrovamento del codice C di Archimede. E chissà qunte storie, scoperte, vicende, quanti testi, quanti dipinti sono stati persi nelle nebbie del tempo, sommersi dalla sabbia, affondati nei mari o finiti in cenere. Siamo avvolti nel buio del passato e d’aiuto può venirci incontro l’archeologia, che ci affascina certo non per il ritrovamento delle pietre, ma per il significato, la cultura ed i simboli che il passato può restituirci. Attualmente viviamo nel tempo dell’informazione, che ha trovato nella tumultuosa tecnologia informatica l’apparente possibilità di conservare la memoria. Dall’informazione binaria di un bit a due Kilobyte di una pagina dattiliscritta, a 500 Kilibyte di una foto digitale a un Gigabyte di un filmato di un’ora a 2 Terabyte di tanti testi stampabili con la carta ricavata da 10.000 alberi a un Petabyte contenenti tutti i dati delle missioni spaziali fino ad oggi ottenute, e 2 Exabyte che conservano tutti i dati generati nel mondo. Rimaniamo sgomenti dalla quantità e dalla velocità delle informazioni e siamo illusi che questi dati rimangano perenni nel futuro.
Anche questa é un’illusione: basta un cortocircuito, la caduta di un’antenna, il guasto di una centrale elettrica che il silenzio e la solitudine ci sommergeranno; e che dire di un’eventuale tempesta solare, che potrebbe mettere fuori uso le reti satellitari e sconvolgere tutti i sistemi di navigazione. Mondo meraviglioso, ma fragile, in cui la criticità è dietro l’angolo ed è pronta ad esplicare il suo dominio. I nostri cassetti sono pieni di fotografie in bianco e nero dei nonni, scaffali di bobine di pellicole otto e superotto millimetri, di cassetti di fragili dischi di vinile a settant’otto, quarantacinque e trentatré giri, di scatole e scatole di nastri dei registratori e del videoregistratore non più funzionante! E rimangono come aride pietre, perché gli stumenti di lettura hanno presentato una tale progressione tecnologica, che le informazioni sono state scritte e già dopo dieci anni non più ascoltabili. Mi piace ricordare la fine dell’articolo “Più informazioni, meno memoria”: “che strano destino per l’uomo. Possiamo leggere i papiri egizi e le incisioni su pietra di migliaia di anni fa, ma perdiamo il contenuto di un semplice testo o di una fotografia memorizzati su un dischetto, che ha la colpa – e non ne siamo a conoscenza – di essere vecchio di una decina d’anni” [5]. Ciononostante è straordinario come le tecnologie cui siamo pervenuti ci permettano non solo di recuperare i nostri ricordi personali, ma anche di poter studiare l’evoluzione della nostra e di tutte le specie viventi racchiuse nel DNA, la lunga catena della vita.
E’ di pochi anni fa la nascita della paleogenetica, il cui centro d’eccellenza é il Max Plank Insitute di Liepzing in Germania diretto dallo svedese Svante Paabo, che ha impresso alla paleontologia uno sviluppo impensabile.
Ma sono ancora pochi a voler vedere più in là del proprio naso! Gli altri, non sono curiosi e ancora non consci di essere inseriti nell’immane rete strutturale dell’informazione, ma tuttavia tronfi della tecnologia che superficialmente li condiziona; non sanno che, come qualsiasi struttura complessa, questa potrà manifestare dinamiche autorganizzative imprevedibili.
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[1] Quid est bonum? Rerum scientia. Quid malum est? Rerum imperitia.
[2] Matematico e filosofo greco nato a Samo nel 575 a.C. , morto a Metaponto nel 495 a. C. fondò a Crotone la Scuola pitagorica. La sua vita ed i suoi insegnamenti sono ricordati da ciò che altri hanno detto e scritto di lui
[3] Revid Netz e William Noel “Il codice perduto di Archimede. La storia di un libro ritrovato e dei suoi segreti matematici”. RCS libri 2007. Milano 2007
[4] Letteralmente: irritazione.
[5] Umberto Torelli. Corriere della Sera 15 maggio 2005
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