domenica 28 ottobre 2012

21 Il mistero dei misteri: la vita.


 21           Il mistero dei misteri: la vita.

Pertanto è il momento di affrontare ora, serenamente e senza pregiudizi di alcun genere, quale razionalmente possa essere la sua origine. 



Tre sono le possibilità da prendere in considerazione: la creazione, che dal punto di vista scientifico non saprei proprio come affrontare, perché esula dai settori scientifici attualmente studiabili ed investe la sensibilità umana possibile solamente con il proprio sentimento fideistico, che forse un domani potrà essere oggetto scientifico di studio. Alcuni hanno anche prospettato che la vita sia nata per caso; questa supposizione è facilmente scartabile: basti ricordare che la sequenza conosciuta del DNA dell'organismo unicellulare più studiato, il batterio intestinale Escherichia Coli, ci permette di calcolare ad esempio il numero delle possibilità combinatorie della sua struttura al fine di una eventuale progettazione del batterio. Il calcolo delle probabilità ci informa di quanti tentativi si dovrebbero compiere per riuscire a ricostruire a caso il genoma dell'Escherichia Coli; la risposta è 1 seguito da 2 milioni e 400 mila zeri! Un ipotetico folletto lavorando dal fatidico Big-Bang (che è avvenuto 10 alla 17 secondi fa) dovrebbe continuare a riprovare per 10 alla (24.000.000 meno 17) secondi, cioè per 10 alla 23.999.983 secondi! …….Molto prima del Big Bang! Troppo prima! Appare chiaro pertanto che la vita non può essere comparsa per caso! 



Vediamo ora quale altre ipotesi possono venir formulate. 



Nel 1993 apparve un articolo del paleontologo Scopf [1], che riferiva della scoperta di ben undici organismi procaroti di forma filamentosa in una selce datata 3465 milioni di anni fa nel giacimento di Apex dell’Australia nord-occidentale. Questa segnalazione rappresenta certamente il più antico ritrovamento di procarioti e costituisce la prova che i cianobatteri esistevano molto prima di quanto si supponesse; in un periodo, che per il genetista Krick è giudicato troppo vicino (di 0,5-1 miliardi di anni) dall’origine del pianeta terra e del sistema solare, datato, come è noto, a 4,6 miliardi di anni fa. Secondo Krick il lasso di tempo è troppo breve per giustificare l’evoluzione della materia organica da non vivente a vivente. Questa osservazione potrebbe essere di supporto alla terza teoria, quella della panspermia, secondo la quale la vita sulla terra potrebbe essere comparsa in seguito alla caduta di materiali provenienti dallo spazio con le comete. Ed è questa la terza ipotesi, attualmente suffragata dalle tracce microscopiche di glicina [2] trovate in un campione di particelle recuperate nel gennaio 2004 all'interno del sistema solare, dalla coda della cometa Wild 2 dalla navicella spaziale della Nasa Stardust, a 390 milioni di chilometri dalla Terra. La glicina sappiamo essere il più semplice degli amminoacidi e costituisce la maggior parte delle proteine. Il coordinatore dello studio [3] ha spiegato che questo è in assoluto il primo ritrovamento di un amminoacido scoperto in una cometa, e rafforza la teoria secondo la quale gli ingredienti grezzi della vita siano arrivati sulla Terra dallo spazio. Del resto nello spazio nelle nubi di gas interstellare sono state individuate diverse molecole complesse: l’acido cianidrico, acetico, formico, la glicina stessa e diversi idrocarburi aromatici; inoltre nella nostra galassia, la via Lattea, esistono zone di polveri formate da silicio, carbonio ed acqua che si aggrega e consentendo di attirare molecole catalizzando nuove reazioni chimiche. Recentemente a settecento anni luce di distanza, in direzione della stella Cernis 52 della costellazione Perseo, è stata identificato in una nube di gas e polveri, l’antracene, un idrocarburo policiclico aromatico composto da 24 atomi (C 14 H10), molecola considerata prebiotica perché combinandosi con l’acqua e l’ammoniaca può produrre numerosi aminoacidi se irradiata con raggi ultravioletti. La polvere e le nubi di gas interstellare formarono dei dischi proto planetari intorno alle stelle nascenti. Tutte queste sostanze ovviamente si erano poste alla periferia del disco planetario, nella parte esterna e fredda del nostro nascente sistema solare, da cui si sono formate le meteoriti e le comete con composizione analoga a quella del gas e delle polveri interstellari ricche di numerosissime molecole complesse, alcune delle quali capaci di generare nell’acqua strutture vescicolari analoghe alle future membrane cellulari. Dal punto di vista chimico gli aminoacidi biologici presentano tutti una simmetria levogira, mentre gli zuccheri destrogira contrariamente a quelli meteorici che indifferentemente sono levo o destrogiri. Anche questa unicità chirale delle molecole terrestri potrebbe essere espressione di un “battito d’ali planetario”, nel senso che per caso il primo aminoacido provenenti dallo spazio fu levogiro e il primo zucchero destrogiro! 



L’ipotesi che la vita sulla terra sia arrivata dallo spazio potrebbe essere suffragata da un recente studio effettuato dall’astrofisico Ricard Hoover del Marshall Space Flight Center della Nasa, che da dieci anni ha cercato nei ghiacci dell’Antartide , dalla Siberia arrivando sino all’Alasca, le condriti carboniose, rare forme di meteoriti. Dopo dieci anni di indagini la ricerca ha dato esito positivo: ne ha trovate dieci ed in tre di queste ha evidenziato con una tecnica di microscopia a scansione d’avanguardia delle formazioni simili ai batteri Velox Titanospirillum, un estremofilo, ed altri rassomiglianti alle “alghe azzurre”, i cianobatteri. 


Questa scoperta è straordinaria [4] perché sposta l’inizio della vita a 10 miliardi di anni fa cioè a sei miliardi prima della formazione del nostro pianeta! Dando ragione alla valutazione critica nel merito della nascita della vita fatta da Crik molte decadi fa. 

Poiché le conclusioni dello studio sono eccezionali e per la loro natura stessa possibilmente controversi, l’autore, che denota un non comune onestà intellettuale, ha rivolto a cento esperti del settore l’invito ad un controllo preventivo estendendo inoltre a più di cinquemila scienziati inducendoli a valutare ed eventualmente a criticare i dati ottenuti. 

Questo studio rafforza e si affianca a quelle ricerche eseguite sul meteorite di origine marziana, l’ALH84001, trovato nell’Antartide nel dicembre 1984 in cui nel 1996 furono individuate strutture a catena di probabile origine biologica da David Mc Kay della Nasa. 

In favore dell’ipotesi “Panspermia” esistono inoltre gli studi dell’italo americana Sandra Pizzarello, veneziana di 78 anni, pioniera di “biochimica aliena”, dal 1969 a capo del Settore della Nasa riguardante la biochimica extraterrestre, dopo aver vinto il finanziamento per la ricerca sui reperti del famoso meteorite Murchinson, caduto in quell’anno in Australia. 

Vi è poi la recente indagine sul “Grave Nunataks 95229”, appartenente sempre alla famiglia delle condriti carbonacee caduto in Antartide nel ’95 e rimasto incontaminato sotto i ghiacci, che è risultato diverso rispetto ad altre meteoriti possedendo, fatto estremamente rilevante, una enorme quantità di ammoniaca, rappresentando la prima dimostrazione che dà consistenza all’ipotesi che le molecole necessarie per la nascita della vita sulla terra siano arrivate dallo spazio. Infatti tra i 4,4 e i 2,7 miliardi di anni fa il nostro pianeta fu sottoposto ad una incessante pioggia di meteoriti ricche di ammoniaca fornendo l’azoto, ingrediente essenziale per l’innesco delle reazioni chimiche da cui sono nate le prime molecole organiche [5]. 

Possiamo valutare ora una quarta evenienza evolutiva che trascende le dirette e complesse causali intrinseche od estrinseche proprie del nostro mondo del carbonio, ma che si manifesta nella simulazione al computer nel mondo del silicio; la struttura che si delinea assume i connotati di una proprietà emergente, (Steven Johnson - Artificial emergence. 2001), e che trova in Stuart Kauffman, massimo fautore della teoria, la possibilità che l’emergenza della vita derivi dalle molecole complesse; il biologo teorico dell’istituto di Santa Fé per comprendere la complessità biologica considera tre fattori: l’autorganizzazione dei sistemi biologici, la selezione naturale dei più idonei ed infine la contingenza evolutiva; del resto la complessità biologica potrebbe essersi originata anche in altri pianeti o nelle polveri interstellari dove sono state individuate numerose molecole prebiotiche. 

Con l’analisi delle simulazioni al computer per modelli semplici di reti casuali, siano genetiche, neurali o di reazioni chimiche, Kauffman ha stabilito che, al variare di solo tre parametri: il numero dei nodi della rete, il grado di interconnessione media tra i nodi e le regole di connessione, è possibile che si determini una gamma estremamente ampia di risultati possibili. 

Modulando i tre parametri della simulazione all’interno di queste possibilità, si vengono a creare reti altamente stabili, con configurazione ordinata, reti altamente caotiche, che oscillano a caso, e reti, estremamente interessanti, nelle quali emergono isole di ordine ricorrente. 

L’idea centrale è che in qualsiasi tipo di rete, quando un gruppo di elementi, che siano nodi, molecole, geni, organismi, raggiunge una soglia critica di diversità e di interconnessione, si viene a formare spontaneamente una rete “autocatalitica” o “autopoietica”: rete nella quale tutti gli elementi connessi presentano sia cicli di retroazione positiva che negativa, con la possibilità di concorrere alla formazione di tutti gli altri elementi, producendo una configurazione evolutiva ordinata: la rete prende vita, metabolizza elementi esterni, si regola e si sostiene da sola, si modifica per autoduplicazione e continua producendo nuove “proprietà emergenti”. 

La vita pertanto sarebbe emersa spontaneamente senza alcun bisogno né di un preesistente meccanismo genetico di trasmissione dell’informazione biologica, né della selezione naturale, che ovviamente subentrerà solo in un secondo momento. Il sorgere della vita sarebbe una conseguenza prevedibile delle leggi di emergenza spontanea dell’ordine all’interno di reti complesse di reagenti chimici. Queste leggi governerebbero l’evoluzione di tutti i sistemi complessi cioè di tutti i sistemi in grado di autoprodurre ordine e pertanto non sarebbe un rarissimo miracolo di reazioni chimiche, bensì l’esito necessario delle dinamiche di autorganizzazione, valide per tutti i sistemi complessi: al superamento di una soglia minima di complessità la vita si autoproduce. L’emergenza della vita non è un fatto improponibile, è una certezza: è una transizione di fasi inevitabile. Le straordinarie capacità evolutive sono il risultato di due dinamiche opposte e complementari: la flessibilità e la stabilità; le reti non devono essere né troppo ordinate, né troppo caotiche. Le reti più efficienti tendono ad avvicinarsi ai “margini del caos” senza mai superarlo mantenendo il sistema stabile pur in presenza di forti dinamiche perturbative. Questa transizione di fase, che avviene in uno stadio critico, ben si accorda con quella della criticità autorganizzata di Bak, Chao Tang e Kurt Veisenfeld, che rappresenta il passo evolutivo finale: catabolico e dissolutivo (Vedi capitolo 28). 

Considerando che gli esseri viventi sono costituiti essenzialmente da acidi nucleici e proteine e che questi componenti sono il risultato di combinazioni di quattro basi azotate e di solo venti amminoacidi, si può ipotizzare che nel corso di miliardi di anni, si siano sviluppati sistemi auto catalitici, cioè meccanismi di autorganizzazione molecolare. La migliore descrizione di questa autorganizzazione e del meccanismo evolutivo biologico delle molecole è certamente quella fondata sulla teoria degli ipercicli di Eigen e Schuster[6], ove in un ciclo catalitico i prodotti di ciascuna catalasi, sono a loro volta catalizzatori di una nuova reazione, producendo in tal modo un metabolismo continuo, che essendo circolare è chiamato autocatalitico; infatti per le reazioni biochimiche è indispensabile la presenza di molecole enzimatiche, che catalizzano la loro specifica reazione; ogni prodotto di questa è a sua volta catalizzatore della successiva. L’iperciclo catalitico è pertanto un circuito complesso costituito da diversi cicli catalitici, ognuno dei quali deve essere in grado di automantenersi e di formare il prodotto per il successivo ciclo; in definitiva l’iperciclo può essere visto come una struttura dinamica che ricorda un meccanismo nel quale il movimento della ruota centrale è determinato dalla rotazione di tante ruote periferiche. Come del resto avviene nel ciclo dell’acido citrico. Questo meccanismo essenziale per i processi biologici-molecolari ha indotto Alfred Eigen a stigmatizzare che “l’evoluzione della vita, se si basa su di un principio fisico derivabile, deve essere considerata un processo inevitabile” [7]. Un spinta alla teoria dell’iperciclo fu in seguito la scoperta che l’RNA, in specifiche condizioni, si trasforma in Ribozima, una particolare forma enzimatica dando validità di essere considerata e di rappresentare la primitiva e ancestrale molecola dell’informazione. Il Ribozima [8] infatti svolge il ruolo essenziale per la vita essendo il principale responsabile della sintesi proteica. 

Negli anni ‘50 Stanley Miller [9] e Harold Urey dell’Università di Cicago riuscirono a produrre aldeidi, acidi carbossilici ed amminoacidi, sottoponendo un miscuglio di idrogeno, metano, ammoniaca ed acqua a scariche elettriche; in seguito anche Cyril Ponnamperuma [10] provò a riprodurre in laboratorio le condizioni del brodo primordiale, riuscendo a sintetizzare alcuni amminoacidi con metodiche simili, ma gli esperimenti non tenevano conto che l’atmosfera primordiale non era affatto riducente come in precedenza nel 1920 Alexander Oparin e J.B.S Aldane avevano già prospettato. Bar-Nun e Chang nel 1983 hanno attuato un esperimento utilizzando vapore acqueo e vari gas vulcanici: ossido ed anidride carbonica, idrogeno ed azoto irradiandoli con raggi U.V. ed hanno ottenuto diversi residui: acetaldeide, formaldeide e metano aggiungendo un’ulteriore possibilità per considerare anche l’origine vulcanica della vita. 

In seguito Sydney Fox [11] dell’università di Miami, riscaldando un miscuglio di amminoacidi ottenne un polimero - da lui chiamato “proteinoide termico” - a forma di microsfere di vari micron di diametro con una membrana a due strati capace, ingrandendosi, di gemmare. 

Gli organismi viventi devono essere separati dall’ambiente circostante da una superficie limitante e la segregazione in goccioline della materia in soluzione ha rappresentato senz’altro il primo problema della futura materia “vivente”. Questo problema è stato affrontato da Oparin [12], che ha studiato la tendenza delle soluzioni acquose di polimeri a separarsi spontaneamente in coacervati; questi possono essere originati da varie combinazioni: proteina-carboidrato (istone-gomma arabica), proteina-proteina (istone-albumina), proteina-acido nucleico (istone-RNA o DNA). Questi coacervati formano delle goccioline di dimensioni da 1 a 500 micron, che galleggiando nell’acqua, avrebbero potuto assolvere la funzioni di delimitare un ambiente chiuso all’interno delle microsfere, ove i composti organici avrebbero potuto reagire indisturbati, aumentando in tal modo la possibilità del verificarsi di nuove reazioni chimiche. 

L’induzione di una primitiva attività metabolica induce stabilità ai coacervati, come è stato dimostrato da vari esperimenti di Oparin: ad esempio, una gocciolina di coacervato costituito da proteina e polisaccaride con all’interno l’enzima fosforilasi, è in grado di polimerizzare il glucosio-1-fosfato, che proviene dall’esterno, in amido, facendo aumentare lo spessore della parete. 

Una gocciolina, costituita da proteina e carboidrato e contenente due enzimi, la fosforilasi e l’amilasi, è capace di sostenere una reazione chimica in due fasi; la fosforilasi polimerizza il glucosio-1-fosfato in amido e l’amilasi secondariamente degrada l’amido in maltosio, che diffonde all’esterno. Gli esperimenti di Fox e Oparin [13] sono solo analogie di processi vitali, ma sono suggestivi e comunque dimostrano che nella chimica-fisica è intrinseco un comportamento di tipo vitale, illustrando il concetto di selezione chimica per la sopravvivenza. 

In seguito la riproduzione potrebbe essere avvenuta casualmente per rottura, con rimescolamento e riformazione delle microsfere e l’autoriproduzione e con la trasmissione di informazioni, nel momento in cui si formarono gli acidi nucleici: il DNA e l’RNA, molecole auto catalitiche, cioè in grado di sopravvivere e riprodursi. Questi sistemi autocatalitici entrano in competizione o in cooperazione con altri sistemi autocatalitici e tramite processi di selezione o di adattamento si sono evoluti in forme sempre più complesse. 

Daniel Segrè triestino, professore di Fisica e Bioinformatico [14], considerando che l’inizio della vita non può essere identificato dalla semplice presenza di molecole organiche, di volta in volta prese in considerazione, ha recentemente formulato un’ipotesi non riduttiva, ma ha giustamente considerato il problema nel suo complesso, con una visione che tiene conto che l’autorganizzazione si manifesta dal basso verso l’alto (botto-up), dalla semplicità alla complessità. Egli, basandosi su simulazioni al computer, ha saggiato quali molecole primigenie possano essersi tra loro legate assemblando possibili prodotti idonei a costituire reti di organizzazione metaboliche [15]. L’idea di base è stata quella di tentare di riprodurre dalla semplicità delle prime connessioni molecolari lo sviluppo di reti sempre più sofisticate e complesse; la metodologia attuata risente essenzialmente di due elementi formativi: quello ideale, che potremmo indicare di tipo platonico e quello chimico di tipo matematico strutturale. Dallo studio è emerso che i primi semplici costituenti avrebbero potuto essere i lipidi per le loro caratteristiche: la possibilità di costituire lunghe catene di carbonio ed idrogeno, di ramificarsi, con possibilità di legami con gruppi chimici di natura aminoacidica, proteica e glicidica, considerando anche che facilmente i lipidi si assemblano in bolle a costituire il futuro involucro cellulare, che da allora è sempre stato costituito da un doppio strato lipidico, rappresentando l’utile confine della futura chimica metabolica endocellulare in fieri. La semplicità strutturale dei lipidi avrebbe potuto rappresentare il primo semplice supporto evolutivo, poi integrato dal mondo a RNA, del Ribozima, molecola auto-catalizzante. I lipidi del resto sono molecole semplici, presenti in quantità elevata alle origini, che avrebbero potuto autoassenblarsi dai loro diffusi costituenti: l’idrogeno ed il carbonio, oppure essere pervenuti per panspermia tramite le piogge meteoriche. 

E se questa ricerca rappresenta un’ipotesi possibile, basata su reali caratteristiche, alcuni scienziati del centro “Enrico Fermi” di Roma [16], con un approccio realmente bottom-up, partendo da un involucro formato da un doppio strato di acidi grassi e con un numero di componenti che ogni cellula deve possedere per essere definita vitale con l’aggiunta di geni e di trentasette enzimi capaci di sintetizzare una proteina fluorescente, sono riusciti a documentarne l’avvenuta sintesi. Questa ricerca non ha utilizzato come base un batterio già esistente in natura, come recentemente Venter ha adoperato: il Micoplasma Mycoides in cui ha inserito un DNA assemblato sinteticamente, per poi trapiantarlo in un altro Mycoplasma: il Capricolum per ottenere un nuovo organismo semisintetico: l’JCVI-syn1.0 in grado di replicarsi [17]. La cellula sintetica “italiana” costituita da una membrana cellulare lipidica con all’interno trentasette enzimi e un gene per la sintesi di una proteina verde fluorescente per dimostrare che la sintesi proteica si era innescata, è il primo reale passo per l’assemblaggio di una cellula sintetica. 

Le strutture biologiche, che rappresentano l’ossatura della dinamica evolutiva, sono rappresentate dagli acidi nucleici, che sono i vettori dell’informazione, e le proteine, che esplicano tutte le funzioni cellulari compresa quella di contribuire alla ricostruzione degli acidi nucleici, rispettando la loro struttura originaria. Pertanto é molto improbabile che questi due tipi di molecole estremamente complesse, fondamentali per la vita, siano comparse contemporaneamente. Ed è impossibile pensare che si possano essere formate le une senza le altre. Questo problema fu evidenziato da Francis Krick e Leslie E. Orgel, che ipotizzarono una molecola con capacità di duplicazione senza l’intervento delle proteine, ma capace di catalizzare ogni fase della sintesi proteica: l’RNA era la molecola idonea, perché capace di trasmettere l’informazione alle proteine e, rispetto all’DNA, risulta strutturalmente più semplice e più facilmente sintetizzabile. Questa supposizione in seguito fu avvalorata dalla scoperta di enzimi non proteici, bensì formati da RNA. Nel 1961 Juan Orò riuscì ad ottenere l’adenina, molecola basilare degli acidi nucleici, mescolando acido cianidrico ammoniaca in un ambiente acquoso [18]. Ed è del 14 marzo 2009 la notizia che il gruppo di ricerca di John D. Sutherland dopo dodici anni di sperimentazioni è riuscito a sintetizzare alcuni componenti fondamentali della molecola del RNA [19]. Sino ad oggi i tentativi erano falliti perché eseguiti partendo dagli zuccheri, dalle basi azotate e dal fosfato. Ora la procedura ha riprodotto le condizioni ambientali arcaiche, riscaldando la soluzione, e, dopo evaporazione, sono state ottenute molecole ibride, che nuovamente idratate e riscaldate sono state evaporare ed irradiate con raggi U.V., in modo da riprodurre il ciclo ambientale del verosimile ecosistema primordiale. Una semplice “ricetta” per ricreare una sintesi prebiotica: riscaldare la mistura a 60°C in una soluzione acquosa, far evaporare, ed il residuo scaldarlo a 100° C per poi riidratarlo e… alla fine la “tintarella”: i raggi U.V. non filtrati dall’atmosfera primordiale priva di ossigeno. Possibile, probabile, di fatto eseguibile. 

Quattro miliardi di anni fa gli impatti meteorici erano mille volte più frequenti di quanto non accada oggi e l’atmosfera della terra era costituita solamente da acqua ed ammoniaca e non da metano, idrogeno ed ammoniaca come supposto da Miller e da lui utilizzata nel suo famoso esperimento del 1951. 

Yoshihiro Furokava dell’Università di Tohoku ha recentemente dimostrato che molecole prebiotiche potrebbero essere state prodotte dagli impatti di meteoriti con l’acqua e l’atmosfera. Il suo esperimento consiste nel lanciare “finte meteoriti” contenenti carbonio, ferro e nichel con un fucile propulsore a 7.242 Km/h in un contenitore di acciaio inossidabile, contenente acqua ed ammonica; gli impatti, che generano una temperatura di 2.760°C, hanno formato acidi grassi, ammine e l’aminoacido glicina [20]. 

Questi esperimenti dimostrano la possibilità di formazione di sostanze organiche nell’ambiente prebiotico e, con quelli di Fox e Oparin dimostrano che nella chimica-fisica è intrinseco un comportamento autorganizzativo che evidenzia il concetto di selezione chimica evolutiva, che trova riscontri anche nelle strutture biologiche che nel tempo si sono formate. Questo è l’unico tipo di selezione naturale che potrebbe essere esistito prima della formazione di molecole capaci di immagazzinare l’informazione. 

Una molecola che possiede non solo la capacità di deposito e vettrice dell’informazione, caratteristica degli acidi nucleici, ma anche una struttura simile alle proteine, e resistente alla degradazione enzimatica sia delle nucleasi che delle proteasi é stata sintetizzata da Nielsen [21]. Questa molecola: l’Acido Peptidico-Nucleico (P.N.A) ora viene sintetizzata nell’ambito delle ricerche volte all’individuazione di una molecola capace di trasportare farmaci direttamente al nucleo delle cellule e, poiché è elettricamente neutra e di conseguenza può facilmente attraversare le membrane cellulari, non solo rappresenta il prototipo di una nuova classe di farmaci [22], che potremmo etichettare “nucleari”, ma di offrire la possibilità per essere utilizzata nell’ambito degli studi sulla vita artificiale [23]. E’ stato ipotizzato che la prima forma di vita sulla terra avrebbe potuto essere basata sull’Acido Peptidico-Nucleinico per la sua caratteristica di riunire in una singola molecola sia la parte vettrice dell’informazione che quella idonea alla formazione strutturale, tanto più che è più stabile e semplice dell’RNA, che sappiamo aver preceduto il DNA come molecola vettrice dell’informazione genetica. In sequenza il “mondo a P.N.A” si sarebbe poi evoluto nel mondo a R.N.A. e successivamente a quello attuale: a D.N.A, R.N.A e proteine [24]. 

Il primo problema da affrontare è certamente quello che interessa i mattoni strutturali cioè la chimica prebiotica e mi sembra ovvio e plausibile che l’evoluzione prebiotica abbia iniziato il suo lento, ma inesorabile cammino dai costituenti più semplici ed elementari – ricordo a questo proposito il detto: “un lungo viaggio inizia sempre con un piccolo passo” [25] – e pertanto prendo in considerazione i costituenti strutturali della futura impalcatura della vita. Iniziando dal passaggio decisivo e cruciale e ancora nebuloso del confine tra la chimica inorganica in quella organica [26]. 

Le unità di base delle strutture complesse sono di solito in numero e di dimensioni ridotte: anche la vita, la struttura più complessa dell’Universo ne possiede davvero poche, tali da essere contate sulla punta delle nostre dita. Il primo elemento, l’elemento principe, ubiquitario nel nostro pianeta è l’acqua, il che ci induce e contemporaneamente ci conferma che la vita deve essere nata come Venere dalle acque. Oltre all’idrogeno e all’ossigeno i restanti costituenti fondamentali sono il carbonio, l’azoto, che con l’elio del resto rappresentano gli elementi più comuni dell’universo; l’elio però, pur essendo estremamente diffuso, per le sue caratteristiche è escluso dalla complessità della vita perché è un elemento inerte, non reattivo ed incapace a combinarsi con gli altri. L’autorganizzazione chimica fa sì che l’idrogeno combinandosi col carbonio formi il metano, piccola molecola stabile, con l’azoto l’ammoniaca, con l’ossigeno l’acqua; e l’ossigeno con il carbonio l’anidride carbonica. Anche lo zolfo é presente nelle strutture biologiche e lo si ritrova in alcuni aminoacidi, mentre il fosforo è essenziale per le molecole dell’informazione: l’RNA ed il DNA e per la conservazione e la donazione di energia : l’ATP e ADP. 

Con queste poche molecole sono formati i venti aminoacidi, mattoni delle proteine, gli zuccheri, i lipidi e gli acidi nucleici; questi sei mattoni sono pochi, ma variamente combinati rappresentano l’impalcatura dell’enorme edificio di tutte le strutture viventi. 


Ho riportato in precedenza alcuni studi pionieristici del secolo scorso sugli eventuali aspetti riguardanti l’origine del lungo viaggio della vita: quelli di Oparin e Haldane, Di Stanley Miller e Harold Hurey, ma attualmente dobbiamo prendere in considerazione nuovi scenari che riguardano i primi possibili passi del lungo viaggio; uno di questi è emerso dall’individuazione di rilievi sommersi nelle dorsali oceaniche, che si sono formate là dove le placche tettoniche allontanandosi l’una dall’altra fanno sì che il magma del mantello superficializzandosi [27] riscalda l’acqua dell’oceano [28]; l’acqua infiltrata tra le rocce si riscalda, caricandosi di ferro, rame, zinco, solfuri, per poi fuoriuscire acidificata o alcalinizzata formando delle fumarole, fucine inesauribili di una chimica che ancora non conosciamo compiutamente. 


Il ritrovamento di organismi cilindrici di dieci micron di lunghezza, “murati” in cristalli di quarzo e di pirite, risalenti a tre miliardi e trecentoventicinquemila milioni di anni fa avvenuto nella regione arida ed assolata di Pilbara nell’Australia occidentale, ha in effetti rivoluzionato le teorie sull’origine della vita che ci facevano supporre che fosse iniziata in acque stagnanti e poco profonde, brulicanti poi dei primi batteri; gli studiosi erano convinti che queste strutture viventi in seguito avessero colonizzato anche gli abissi oceanici. Invece secondo Birger Rasmussen, autore della segnalazione [29], quei reperti contenuti nel quarzo e nella pirite sono la prova certa che la vita si sia accesa nei fondali oceanici in un ambiente caldissimo, ricco di metalli e di idrocarburi e privo di ossigeno e di luce, al riparo dei raggi ultravioletti. Già Wachterhauser [30], in precedenza aveva proposto negli anni ottanta la teoria del “mondo a ferro e zolfo”, postulando l’evoluzione di vie metaboliche in cui l’energia era endogena e non come nell’esperimento di Miller fornita da fulmini o da radiazioni ultraviolette. In seguito William Martin e Michael Russel hanno ipotizzato che le prime forme di vita cellulari si sarebbero evolute in uno scenario vulcanico negli abissi oceanici [31]. 



A migliaia di metri sotto il livello del mare nel buio profondo dell’oceano Pacifico, di fronte alla costa occidentale dell’America del Sud, in vicinanza di fumarole eruttanti acqua nerastra e caldissima, dovuta al ridotto spessore della crosta terrestre per l’allontanamento delle placche tettoniche, il sottomarino Alvin che esplorava il fondo oceanico fece conoscere al mondo uno scenario da fantascienza, un mondo sommerso alieno: decine e decine di vermi lunghi due-tre metri di colore biancastro con la sommità color rosso, larghi come tubi di stufa, ancorati al fondo e fluttuanti come molli canne al vento spostate dalle correnti sottomarine, e sormontati da un pennacchio rosso rutilante erano circondate da vongole giganti con i gusci bianchi, grandi come piatti e da granchi senza occhi e pesci simili alle anguille. Queste colonie “extraterrestri” erano situate attorno ai camini idrotermali da cui l’acqua penetrata nelle rocce fuoriesce a temperatura di 300/400 gradi con un Ph più acido del limone o alcalino come la soda e arricchita di elementi minerali e di idrogeno solforato, che rappresentano il pabulum di queste strane forme di vita. 



Questi giganteschi vermi, ora chiamati Rifitia Pachyptilia sono privi di bocca, intestino e di appendici, tranne quel particolare pennacchio rosso ciliegia alla sommità, che dovrebbe servire per l’assorbimento dello zolfo, dell’ossido di carbonio e dell’ossigeno; questi tubi sottomarini contengono colonie di batteri chemiotrofi e rappresentano un esempio di simbiosi tra batteri e la parete tubulare; sembrano enormi astucci di rossetto, rappresentato dal trofosoma, organo globulare ricco di batteriociti, cioè di cellule specializzate ripiene di batteriosomi, organuli colmi di batteri chemiosintetici dai quali dipende la nutrizione dell’intera struttura. Per sostenere le sue grandi dimensioni ed il tasso di crescita elevato questo invertebrato si basa esclusivamente sui batteri chemioatotrofi simbionti. La struttura deve solo fornire in cambio il carbonio inorganico in quantità elevate [32]. La comunità batterica risulta protetta, e, in cambio di un ambiente sicuro, produce elementi nutritivi: gli zuccheri e l’ATP, utili alla rapida crescita del contenitore, formato da uno zucchero, la chitina. I batteri chemiotrofi degradano per ossidazione i composti a base di zolfo emessi dalle fumarole e liberano elettroni ad alta energia per produrre l’ATP necessario per le cellule del rivestimento. E’ un meccanismo che viene utilizzato anche dalle piante e dai batteri comuni per convertire l’anidride carbonica in glucosio, solo che questi batteri utilizzano l’energia chimica e non quella solare [33]. 



Questo mondo alieno è stato studiato dalla biologa Cindy Lee Van Dover in “The Octopus s’ Garden: Hydrotermal Vents and Other Mysteries of Deep Sea” [34], che così li descrive: “I sistemi idrotermali sottomarini alimentati dal calore dei processi vulcanici possono supportare la vita in assenza della luce solare. L’acqua delle fumarole può rappresentare il proverbiale brodo primordiale delle montagne sottomarine sin dalla separazione del Goldvana, il primitivo continente. Le condizioni chimiche e termiche possono permettere la sintesi di composti organici. Questo software delle profondità oceaniche può essere stato il sito dove la vita ha iniziato la sua via sul nostro pianeta”. 



Sin dagli anni cinquanta furono scoperte tracce di vita microbica in ambienti considerati sino ad allora sterili; viceversa sono diversi i microrganismi che sopravvivono e proliferano in ambienti a dir poco proibitivi o per l’elevata temperatura o per la salinità eccessiva o ancora per l’estrema alcalinità o acidità dell’ambiente. Gli studi di genetica molecolare su questi microrganismi chiamati estremofili [35] hanno chiarito il quadro generale evolutivo dei microrganismi sino allora distinti in procarioti (cellule prive di nucleo) e in eucarioti (cellule più complesse e nucleate), aggiungendo il raggruppamento degli Archea, che dal punto di vista evolutivo rappresentano il primo tronco staccatosi da un ipotetico comune precursore. 

Nei pressi della spiaggia di levante nell’isola di Vulcano, tra i sedimenti delle sorgenti geotermiche, fu isolato [36] un estremofilo a cui fu dato il nome di Pyrococcus Furiosus per le sue caratteristiche peculiari: Pyrococcus perché vive e si riproduce a temperature tra i 90° e 121°C e Furiosus per la sua velocità riproduttiva essendo in grado di duplicarsi in 37 minuti, record per gli Archea, ed é l’unico microrganismo ad utilizzare enzimi contenenti il Tungsteno. 

Il Record dell’estremofilia appartiene però al Deinococcus Radiodurans, forma di vita unicellulare che possiede un meccanismo molecolare capace di farlo “resuscitare” sia dall’essicazione che da un irraggiamento radioattivo migliaia di volte superiore alle dosi mortali per qualsiasi forma di vita. Fu scoperto cinquant’anni fa per caso da Anderson che, per eliminare qualsiasi contaminazione batterica, irradiò una scatoletta di carne di manzo, che in seguito risultò avariata, a dimostrazione di un’attività microbica nel campione. E’ arcinoto che il DNA è estremamente sensibile all’irraggiamento perché provoca la rottura della fragile sequenza del codice genetico. Per tanti anni l’inaudita capacità di sopravvivenza del Deinococcus era rimasta un mistero fino a che Miroslav Radman del’INSERM di Parigi ha spiegato l’arcano. Il batterio contiene da sei a otto molecole di DNA disposte circolarmente; quando le radiazioni determinano le rotture a caso dei segmenti genomici, questi si autoassemblano essendo tra loro complementari e “auto guariscono” resuscitando il batterio da morte certa. Sembra che il meccanismo di auto guarigione del DNA risieda nella capacità di una proteina, la RecA, che stranamente non risulta anch’essa danneggiata dalle radiazioni. Ulteriori studi su questo microrganismo “stellare” potrebbero fornire possibili ricadute di guarigioni nel campo delle numerose malattie degenerative. 

Nell’oceano Atlantico tra le Bermuda e le Canarie è stata individuata una montagna sommersa caratterizzata da pinnacoli di rocce bianche formate da peridotite, la pietra più antica della nostra terra, alti sino a settanta metri come pinnacoli di una cattedrale nelle acque limpide e profonde; a questa formazione è stato dato il nome di “Lost city” - Città perduta - situata in una zona idrotermale che produce acqua riscaldata dal mantello terrestre sottostante; a contatto con l’acqua la peridotite va incontro ad una reazione chimica che la converte in serpentinite e l’acqua diventa alcalina perdendo tutto l’ossigeno contenuto ed arricchendosi di gas energetici, di metano e solfuri e soprattutto di idrogeno; ed è proprio l’idrogeno, riducente per antonomasia, che possiede la capacità di trasferire gli elettroni ad altre molecole. Questa caratteristica ha avvalorato la tesi che le reazioni che avvengono durante la serpentizzazione rappresentano l’optimum per la produzione di composti organici utilizzando l’anidride carbonica [37]. La serpentizzazione infatti alcalinizza l’acqua rilasciando grandi quantità di clorato di calcio responsabile dei pinnacoli bianchi delle fumarole, inoltre, come detto produce grandi quantità di idrogeno che permette ai germi metanogeni di prosperare senza la luce del sole e di produrre composti organici da composti inorganici, costituendo il primo fondamentale ed essenziale passo per l’evoluzione delle strutture viventi. I fluidi idrotermali contengono semplici composti organici anche se in quantità minime: metano, etano e propano, che derivano da batteri metanogeni appartenenti alla famiglia metanosarcina, che hanno bisogno per sopravvivere solo di anidride carbonica, acqua e peridotite e non necessitano di raggi solari e della luce [38], [39]. 

La possibilità che la vita possa essere iniziata in ambienti simili a quelli della “città perduta” è suffragata da diverse considerazioni. In primis la peridotite, la roccia più comune esistente all’inizio della storia della terra che, ricoperta dalle acque, reagiva come attualmente reagisce, convertendosi in serpentinite e rendendo l’acqua alcalina in modo da favorire soprattutto la formazione di composti organici da quelli inorganici, tra cui il comune metano. Inoltre la diffusione dei batteri metanogeni, che nel caso della città perduta appartengono alla famiglia della Metanosarcina che per vivere hanno bisogno solamente di anidride carbonica, acqua e peridotite. 

In aggiunta gli studi di genetica molecolare dell’RNA ribosomiale hanno permesso di ricostruire l’albero genealogico di tutti gli organismi esistenti, compresi quelli metanogeni della città perduta appartenenti alla famiglia della Metosarcina, che hanno la caratteristica di sopravvivere utilizzando l’idrogeno in ambiente acquoso, caldo ed alcalino, analogamente a tutte le forme più antiche degli Archea: il Metanopyrus, il Metanococco, il Geoglobus, il Pyrodictium, il Thermofilum e l’unica forma dei batteri primordiali (dei procarioti): l’Aquifex Hydrogenobacter [40]. Infine un’ultima considerazione: il recente ritrovamento di campioni di batteri solfo riduttori Firmicutes [41] provenienti dal massiccio meta basaltico Ventersdrop del Sud Africa, estratti a 3-4 mila metri nelle viscere della terra, che posti in substrati d’origine geochimica e non biologica hanno ripreso a riprodursi! Se questi esperimenti troveranno conferma il primo ambiente di vita si sarebbe basato sul flusso di elettroni ad alto livello energetico e non avrebbe tratto energia dai fotoni (dalla luce), ma dalla naturale reattività della crosta terrestre. Confermando l’intuizione espressa da Albert Szent-Gyorgyi, premio Nobel 1937 per la Medicina e Fisiologia, che così affermava: “La vita non viene guidata da nient’altro, se non dagli elettroni, ovvero dall’energia sprigionata da questi elettroni durante la loro caduta da un alto livello energetico al quale sono stati spinti dai fotoni (….). Tutte le complessità del metabolismo intermedio sono solo “ricami” attorno a tale fatto fondamentale”. Che io definisco la trama della vita. 

Un fiume scorre sempre nel suo alveo e verso il basso e rappresenta un sistema stabile; la vita invece è un sistema instabile, che per progredire e conservarsi necessita di energia. Possiamo paragonarla ad un'escursione in alta montagna: occorre fatica, sudore e perizia, se no si finisce tragicamente al fondo valle! Questa energia, che il sistema utilizza dall'esterno, fa sì che la vita, nel suo complesso, riesce a contrastare il secondo principio della termodinamica. La vita è pertanto una struttura dissipativa. E come qualsiasi struttura dissipativa, utilizza l’energia esterna al sistema, presentando l'emersione di una nuova struttura complessa e ordinata. 

La forma ed il volume delle cellule, elementi basilari di tutte le forme viventi sono condizionate da precisi rapporti matematico-geometrici. Infatti la forma sferica, espressione della simmetria assoluta, che accomuna una moltitudine di oggetti fisici: dalle gocce ai corpi celesti, è la figura geometrica tridimensionale che presenta il minimo rapporto tra la superficie e volume. Con l’aumentare del raggio della sfera il volume della cellula cresce maggiormente (di tre volte) rispetto alla sua superficie, e questo dato ne condiziona la dimensione: una cellula troppo grande si relazionerebbe con l’esterno in modo insufficiente, mentre una cellula di dimensioni ridotte ha la possibilità di relazionarsi più facilmente, risultando idonea alle dimensioni molecolari dell’ambiente circostante. Inoltre, il minor volume delle cellule equivale ad un numero maggiore di elementi cellulari, ed anche in questo caso dobbiamo ricordare la verità espressa da Anderson: ”More is different”- Il numero condiziona e fa la differenza! Più elementi cellulari equivale a maggiori possibilità teoriche evolutive. Queste micro cellule, in seguito adattandosi, potranno aggregarsi in cellule di volume maggiore continuando a svolgere le proprie attività funzionali distinte o, eventualmente, potranno anch’esse unificarsi per svolgere una nuova funzione emergente. Questa evoluzione cellulare primaria potrebbe essere avvenuta dopo il primo gradino evolutivo: l’evoluzione prebiotica molecolare, poi in successione sarebbe avvenuta l’evoluzione biologica prebiotica protetta, ed in seguito quella biologico cellulare, la biologica pluricellulare, la biologica organica (a costituire gli organi degli organismi), la biologica sociale, quella culturale e chissà la sovra culturale. 

La vita deve essere considerata su scala gerarchica che va dal semplice al complesso seguendo vari livelli strutturali tra loro diversificati con una progressione interdipendente caratterizzata a volte da una diversificazione (transizione di fase), che partendo dalle molecole [42],[43] che si assemblano in macromolecole a costituire la struttura degli organelli subcellulari e a loro volta rappresentanti essenziali delle strutture cellulari, alcune delle quali: i neuroni, con le loro connessioni dendritiche rappresentano la rete fondamentale della compagine cerebrale da cui emerge il pensiero, emergono le idee, la cultura ed in definitiva l’organizzazione sociale delle società. E, se consideriamo il presente ed immaginiamo il futuro prossimo, con sicurezza possiamo affermare che la scala della vita, iniziata dalla fase prebiotica fino ad arrivare all’essere Uomo, comprenderà certamente, come già sta comprendendo anche elementi non biologici, ma tecno strumentali, protesici ed informatici che saranno responsabili di un’emarginazione sempre più manifesta della fisicità umana. In poche parole l’organizzazione, anzi l’autorganizzazione delle strutture gerarchiche della vita, potrebbero portare ad una rappresentazione virtuale della vita stessa. Ma cerchiamo di stare nel presente e diamo uno sguardo al passato nebuloso, e ancora da chiarire compiutamente: in precedenza abbiamo considerato l’autorganizzazione in ambito fisico e fisico-chimico ed ora consideriamola nelle sue manifestazioni esponenziali presenti nel mondo animato. Il confine tra il mondo chimico fisico inanimato e quello chimicobiologico risulta non definito, ma sfumato, perché ciascuno presenta condizioni caratteristiche intermedie di entrambi, per cui ogni livello contribuisce e contemporaneamente acquisisce caratteristiche dell’altro. 

Le caratteristiche essenziali che un’entità deve possedere per poter essere definita vitale sono essenzialmente tre: la prima, costituire un’individualità, che la isoli dal contesto ambientale, rendendo possibile la difesa da un lato senza precludere il contatto e le relazioni con le altre individualità simili o dissimili; e a questo compito le membrane ed i lipidi sono adibite. La seconda funzione è quella metabolica e catalitica proprie delle proteine, dei glicidi e dei grassi per le quali si attua l’assorbimento, la crescita e la produzione energetica; quella che contrasta la caducità individuale é le terza funzione: quella che permette l’evoluzione nel tempo della specie esplicata dagli acidi nucleici che consentono la replicazione dell’individuo e la riproduzione, consentendo anche la possibilità di variazioni, che rendono possibile la selezione naturale darwiniana, sia fenotipica che genotipica. 

La vita emerge da una complessa architettura gerarchica costituita da vari livelli: la riproduzione, la lotta economica della sopravvivenza per il reperimento delle risorse, la struttura fisica dell’ambiente inclusi i fattori astronomici casuali e le modificazioni intrinseche del proprio corredo genetico. Tutti questi fattori, sia singolarmente che integrandosi a vicenda, possono variare, influenzare o causare modificazioni al lungo e variabile percorso delle specie. 


Pertanto gli organismi non solo si adattano al variare delle condizioni ambientali, modificando i propri comportamenti, ma, a volte, rimaneggiando strutture interne obsolete atte a funzioni non più necessarie o a programmarne delle altre nuove. 



La vita procede per tentativi ed è come un ruscello, che trova l’alveo più adatto o lo produce, superando gli ostacoli che a volte si frappongono, ed è comunque capace di continuare il suo corso verso il futuro. Anche se alcuni rivoli posso stagnare e terminare il percorso [44]. La vita é paragonata più comunemente ad un cespuglio, ma, a parte la direzione del suo divenire, il significato è lo stesso, perché anche il cespuglio può presentare dei rami secchi. 



Dobbiamo ora chiederci quale sia stata l’origine della vita e la sua continua evoluzione considerando le numerosissime prove paleontologiche, scientificamente accertate. Gli strumenti idonei per rispondere alla domanda cardine dell’uomo sono, come per tutte le risoluzioni di qualsiasi problema, numerose, difformi e tutte convergenti direttamente o indirettamente alla sua risoluzione e altre, che sembrano portare alla verità manifestano strade impercorribili o bloccate. Inizialmente la paleobiologia si è basata sullo studio dei fossili incorporati e compresi negli strati delle rocce, “l’orologio della terra” e le ricerche comprendevano i siti geografici, gli strati geologici dei ritrovamenti l’habitat, la morfologia dei reperti, le parentele delle specie, la loro diffusione, ma lo studio dal punto di vista temporale non si spingeva oltre il Cambriano, mezzo milione di anni fa. Già Darwin si meravigliava della mancanza di reperti fossili del Cambriano e del Precambriano. La storia della vita era avvolta nella nebbia del tempo e nella polvere degli anni e delle rocce. La mancanza di qualsiasi documentazione fossile alimentò e rafforzò le critiche sin da quando fu pubblicata la teoria darwiniana, contrasto che tuttora caparbiamente continua. Dopo cento anni dalla constatazione di Darwin sulla mancanza di reperti fossili del Proterozoico e dell’Archeano, all’inizio degli anni 50 Stanley Tyler, geologo industriale statunitense, iniziò ad esplorare le rocce ferrose del Precambriano della formazione di Gunflint sulla sponda canadese del lago Ontario. Mentre stava pescando notò vicino alla riva del lago [45] affiorare tra le onde delle formazioni cupoliformi rotondeggianti di color nero ebano, tipo Cryptozoon [46], del diametro di poco più di un metro; studiò al microscopio frammenti prelevati di quelle rocce e si rese conto, da esperto geologo, che non erano reperti minerari e, con l’aiuto di Robert Shock, suo professore di paleontologia, chiarì la loro vera natura: erano i primi microfossili della storia della ricerca della vita! Il 30 aprile 1954 su Science apparve il lavoro che squarciò il buio del Precambriano. 



Il secondo capitolo della ricerca biofossile riguarda la regione più inospitale dell’Australia occidentale: quella assolata, desertica e collinare, ricca di miniere e solcata da burroni e letti di fiumi asciutti, ove cresce rigogliosa una pianta il cui nome è tutto un programma: Spinaflex! In quella regione inabitabile furono ritrovati i fossili di Apex nelle rocce dell’Archeano, in uno strato intermedio a due strati di lava vulcanica facilmente databili con il metodo radio isotopico del decadimento dell’Uranio 238 a Piombo 206. I reperti sono stati datati a 3,465 miliardi di anni fa con un approssimazione di +/- 5 milioni di anni! Il resoconto fu pubblicato su Science [47] e documenta il ritrovamento dei più antichi microfossili del pianeta. 



La paleobiologia Precambriana studiata con la geologia e la geochimica degli isotopi ha pertanto dimostrato che la vita era già presente dopo un miliardo di anni dalla formazione del pianeta. La superficie pullulava di un’enormità di eterotrofi e autotrofi, di ciano batteri responsabili - come sappiamo – della formazione dell’ossigeno atmosferico e della precipitazione dell’ossido di ferro responsabile delle formazioni ferrose minerarie. 



Per studiare i reperti biologici antichi esiste tuttavia la memoria della vita stessa: quella del DNA, dei Geni, che solo da una trentina d’anni viene utilizzata e che travalica quella fossile delle pietre. Attualmente le ricerche della genetica molecolare hanno aggiunto un nuovo campo specifico di studio permettendoci di inquadrare la realtà evolutiva in modo preciso. E’ questa una delle verità che vengono sottaciute da chi non vuole si sappia che nel nostro genoma per esempio sono contenuti una enormità di geni identici a quelli di tanti animali di specie diverse. Il nostro genoma differisce da quello dello scimpanzé per una differenza dell’1,23% ed è simile per il 98% dei geni! Possediamo alcuni geni identici a quelli del moscerino dell’aceto: la Drosofila Melanogaster, del verme Caernorhabditis elegans. E se andiamo più a ritroso nel tempo possediamo geni contenuti nei neuroni del Platyneris dumerilli, un verme marino, vero fossile vivente che si sviluppò circa seicento milioni di anni fa. Questa scoperta è eccezionale [48] anche perché il Platyneris contiene neuroni con geni [49] del tutto simili ai coni ed ai bastoncelli della nostra retina, il che ci fa comprendere che il nostro sistema visivo altro non sia che l’estrinsecazione del nostro cervello e zittisce i detrattori della teoria evolutiva di Darwin, che hanno da sempre indicato l’occhio come un organo inspiegabile dal punto di vista evolutivo! Ma il gene più ancestrale è sicuramente quello che possediamo in comune col corallo, che sovraintende la disposizione testa coda dei cordati, di cui facciamo parte! 

Questi fatti ci inducono ad affermare che il DNA è l’albero della vita di cui noi attualmente rappresentiamo il frutto ed il contenitore (!) più evoluto. 

Ma ritorniamo al percorso della vita sino ad oggi considerato. 

Circa 3-4 miliardi di anni fa comparvero i primi batteri. 1-1,5 miliardi di anni fa comparvero le alghe seguite nel miliardo di anni successivo dai progenitori unicellulari. 

La vita è iniziata in un’atmosfera priva di ossigeno e, quando per l’attività dei cianobatteri e delle alghe azzurre il nostro indispensabile elemento iniziò ad essere prodotto, determinò l’ossidazione e la precipitazione del ferro disciolto nel mare causando, nel corso di milioni di anni, la precipitazione dell’ossido di ferro in modo da costituire i profondi sedimenti ferrosi da cui attualmente viene estratto; inoltre, durante il Proterozoico gli eventi geologici avvenuti nell’arco di milioni di anni, hanno provocato un incremento cospicuo di fosforo negli oceani con conseguente sviluppo esponenziale di alghe. I depositi di fosfati tra i 2,5 e lo 0,54 milioni di anni fa sono la testimonianza di questo sovvertimento ambientale [50], che ha favorito incrementato lo sviluppo di ossigeno e la contemporanea eliminazione di metano nella nostra atmosfera; il cielo allora mutò gradualmente dal colorito rossastro al blu, sempre più blu. Ma la presenza dell’ossigeno, allora tossica per le strutture biologiche, sconvolse le strutture cellulari e determinò una catastrofe planetaria; le cellule per sopravvivere dovettero riorganizzarsi. Il sistema Gaia, la nostra beneamata terra si autorganizza mantenendo l’ossigeno in quantità idonea alla vita: al 21%; se inferiore al 15% nulla potrebbe essere bruciato, né si potrebbe respirare. Se in quantità superiore al 25% tutto andrebbe in fumo! 

Solo alcune cellule di maggiori dimensioni, assemblandosi e inglobando i procarioti liberi, idonei alla respirazione dell’ossigeno non solo riuscirono a sopravvivere, ma la loro capacità energetica fu più che decuplicata. I procarioti allora inglobati attualmente costituiscono i mitocondri nelle cellule animali ed i cloroplasti in quelle vegetali. Questa sintesi biogenetica tra cellule e procarioti non solo é avvalorata dal DNA mitocondriale, che sappiamo essere autonomo rispetto a quello del nucleo della cellula, ma anche dal fatto che i ribosomi mitocondriali, simili a quelli batterici, utilizzano come aminoacido essenziale la formil-metionina e sono sensibili al Cloranfenicolo. Questa fusione, questa endobiosi, oltre a rappresentare un chiaro esempio di processo adattativo, é responsabile dell’incremento esponenziale delle attività vitali e dell’avvento degli organismi pluricellulari; ad Ediacara, nel sud dell’Australia meridionale, tra i monti della catena Flinders, sono stati trovati infatti fossili risalenti alla fine dell’era pre-cambriana, larghi e piatti delle dimensioni sino ad un metro, sprovvisti di organi, di tubo digerente e di arti. Queste primitive forme pluricellulari vissero tra i 600 ed i 540 milioni di anni fa, mettendo fine al dominio dei batteri e ponendo la premessa per la futura evoluzione della vita; avevano l’aspetto di ruote a raggi, di foglie di lattuga e crescevano e si moltiplicavano in un’epoca di ”innocenza ecologica”, prima dell’avvento dei predatori, prima che gli animali si armassero di corazze difensive e di scheletri rigidi; in altre parole, prima che il mondo si dividesse in cacciatori e prede. Anche in Nabidia sono stati ritrovati fossili analoghi, ma più evoluti: il Pteridinium, bizzarro organismo a tre lame. 

Circa 500 milioni di anni fa vi fu un raffreddamento degli oceani che produssero un’estesa fioritura delle alghe [51], [52] con conseguente enorme produzione di ossigeno causa dell’esplosione della vita nel Cambriano; l’ulteriore evoluzione delle strutture viventi hanno rappresentato la base della successiva fioritura della vita e definita il Big-Bang della vita [53]. Il numero degli organismi pluricellulari di quell’epoca é impressionante e dobbiamo aver presente che tra i tanti, il più importante è stata la Picaia, il primo cordato del nostro filum: un vermetto di una decina di centimetri da cui tutti noi discendiamo! 

Le terre allora emerse costituivano l’unico continente: il Rodinia, che 750 milioni di anni fa iniziò a smembrarsi per i movimenti tettonici delle placche della crosta terrestre, determinando l’abbozzo dei futuri continenti e causare profonde ripercussioni sull’evoluzione stessa della vita. Basti considerare le diversità biologiche delle specie tra i diversi continenti e le peculiarità presenti in territori isolati da milioni d’anni come l’isola del Madagascar e il continente Australiano o le isole Galapagos. 

Le numerose conquiste evolutive degli organismi unicellulari di allora sono sopravvissute non solo in molte linee evolutive, ma negli organismi pluricellulari, come nel nostro stesso organismo, e rappresentano strutture perfettamente funzionanti e per noi essenziali. 

Gli eucarioti si moltiplicavano semplicemente dividendosi come accade oggi nei batteri e già negli archea iniziarono in seguito a replicarsi combinando il loro materiale genetico (Alga Clamidomonas). Le minuscole ciglia simili a remi e utilizzate allora per lo spostamento spaziale, sono attualmente presenti negli epiteli dell’albero respiratorio umano, per espellere muchi e materiali estranei. Una ameba si nutriva racchiudendo la preda e inglobandola in uno pseudopodo, analogamente al processo di fagocitosi del globulo bianco, cellula del nostro organismo, che ci aiuta nella lotta contro i germi invasori. Nelle cellule eucariotiche si svilupparono i flagelli essenziali per il loro movimento: questa appendice è tuttora conservata negli spermatozoi, che mantengono nella loro coda una struttura identica formata da due microtubuli centrali attorniati da nove microtubuli periferici. 

L’inizio della vita non può ovviamente essere documentata con precisione perché, come detto, i costituenti iniziali: quelli molecolari non hanno lasciato traccia di sé; l’inizio pertanto può essere solo indicato nebulosamente e non con esattezza. 


La Vita sembra sia iniziata più di tre miliardi di anni fa in un ambiente privo di ossigeno, e, quando nel suo lento fluire si è ritrovata ad essere immersa nell’atmosfera che si arricchiva di ossigeno prodotto dai cianobatteri e dalle alghe azzurre, ha dovuto modificare le sue strutture vitali, adattandosi al nuovo ambiente estremamente tossico; a ricordo di quell’epoca primordiale durata milioni di anni, le strutture cellulari hanno conservato il metabolismo anaerobico con le quali erano nate, ed in seguito all’endobiosi dei procarioti hanno potuto utilizzare il metabolismo aerobico tramite gli attuali mitocondri, nelle cellule animali ed i cloroplasti in quelle vegetali; inoltre sia le membrane cellulari che il DNA risultano estremamente sensibili ai radicali liberi dell’Ossigeno, che per loro rappresentano tossici distruttivi. Infatti durante le reazioni biochimiche di ossidazione, che portano alla trasformazione del glucosio, dei grassi e degli aminoacidi in anidride carbonica ed acqua con produzione di energia chimica sotto forma di Adenosintrifosfato (ATP), vengono liberate molecole di ossigeno, chiamate radicali liberi; dei sei elettroni esterni della molecola di ossigeno quattro sono appaiati, i due rimanenti elettricamente squilibrati cercano disperatamente un altro elettrone cui accoppiarsi. Tendono perciò a sottrarre elettroni ad altre molecole danneggiando le strutture menzionate: sia i mitocondri, che le proteine ed ossidando i lipidi delle membrane. Nel corso di milioni di anni la cellula si è adattata a questa evenienza sviluppando meccanismi di difesa, che provvedono a neutralizzare i radicali liberi trasformandoli in acqua ad opera di enzimi: gli “scavengers” (=spazzini), cioè i famosi antiossidanti; il più importante dei quali é la Superossidodismutasi (SOD). Questa trasformazione che si è attuata nel tempo rappresenta un’ulteriore dimostrazione di come il flusso della vita riesca ad adattarsi esibendo una continua autorganizzazione delle sue strutture. Questi enzimi risultano essenziali per la difesa delle strutture organiche, ma nell’economia dell’organismo anche i radicali liberi vengono utilizzati dai neutrofili e dai macrofagi per la loro potente azione battericida e vengono prodotti dall’endotelio dei vasi sanguigni per controllare la contrazione vasale: uno di questi: l’ossido nitrico (NO) è essenziale per mantenere dilatati al punto giusto i vasi sanguigni e indispensabile per una corretta circolazione sanguigna. Abbiamo prova che nel tempo l’autorganizzazione molecolare abbia permesso all’organismo di approntare numerosi sistemi atti a prevenire ed a riparare i danni molecolari causati dai radicali liberi, ma, la loro azione non è del tutto perfetta perché la loro efficacia purtroppo diminuisce con l’età. L’attività preventiva e curativa è svolta dalle sostanze antiossidanti: la Superossidodismutasi, il Glutatione, la Perossidasi e tante altre che purtroppo presentano due limiti: il non poter incrementare a secondo del bisogno e il declino della loro efficacia antiossidante con la senescenza. Da questo inserto biochimico comprendiamo come nel tempo la vita stessa si plasma, si adatta e progredisce. Ma tutte le strutture e gli organismi viventi più o meno rapidamente vanno incontro (ahimé!) ad un decadimento del loro ordine interno. E' una legge naturale che sottostà al secondo principio della Termodinamica.: la criticita aut organizzata è presente anche a livello molecolare. 


Uno dei temi scientifici più importanti del secolo scorso, per chiarire il mistero della vita, è stato quello rivolto alle strutture dei costituenti organici: delle proteine, in primis, e degli acidi nucleici. Come in ogni contesto scientifico gli inizi sono stati lenti, difficili, dipendenti dalle condizioni iniziali e dall’ambiente in cui si attuavano e progressivamente sono state utilizzate nuove tecnologie, sviluppando una rete di conoscenze tecniche atte a raggiungere i temi nodali inerenti sia la struttura proteica che degli acidi nucleici. Lo studio delle strutture biologiche, distaccandosi dalle ricerche strutturali della materia e dell’ambiente spazio-temporale, ha determinato l’inizio di una nuova era della scienza, incentrata sulla biologia, foriera di sviluppi inimmaginabili e di rivoluzionarie metodologie, che stanno scuotendo il secolare, stabile atavico complesso etico-morale inerente i rapporti dell’uomo con l’evoluzione e la natura stessa: si è arrivati al punto di poter modificare le strutture e di sconvolgere il secolare lento fluire dell’evoluzione, spostandolo e accelerandolo innaturalmente nei laboratori. Ci troviamo di fronte ad una transizione di fase, ad una realtà emergente di cui ancora non conosciamo i limiti e le prospettive. Nel contesto degli studi genetici viviamo il futuro nel presente, con tutte le incognite ed i contrasti che si assommano alla nostra ignoranza. Il futuro è un nuovo mondo di cui non conosciamo l’evoluzione, ciononostante, e ancor di più, abbiamo il dovere di conoscere il mondo attuale affrontando la realtà con rigore scientifico e soprattutto con il buon senso, che ancora pochi purtroppo possiedono. 



Dopo cinquant’anni dalla scoperta della struttura del DNA [54], il sequenziamento del genoma umano [55] sembrava avesse determinato il chiarimento di tutte le alterazioni genetiche, invece ha rappresentato solo il primo timido passo per iniziare ad affrontare il problema di come i geni interagiscono tra loro e di come funzionino per comprendere la loro essenziale coordinazione. 



Solo da poco sappiamo che le dinamiche dei costituenti cellulari, istante dopo istante, si modificano influenzandosi in una sorta di danza variabile tra la vita e la morte, anch’essa sottoposta alla locale contingenza, facendoci comprendere come il tutto non sia la somma delle parti e come le dinamiche biologiche certamente non sono lineari, dimostrando anch’esse di percorre l’equilibrio tra l’autorganizzazione e la criticità autorganizzata. Da appena poco più di cinquant’anni sono stati individuate dinamiche di associazione spontanea in biologia di componenti molecolari e sovra molecolari atte a formare specifiche strutture. 



A questo punto dovremmo domandarci quali siano le strutture che possiamo considerare vitali; per quel che sappiamo e che in precedenza abbiamo chiarito le caratteristiche che ci permettono di considerare vitale un’entità dovrebbero consentire una facile risposta, ma il confine tra la vita e la non vita non è facile da precisare, né al suo termine, verso la morte, ma neanche al suo inizio. Le strutture che siamo obbligati a considerare, iniziando da quelle più semplici sono i nanobi: sottili compagini filamentose di 20-50 nm, scoperte nel 1966 in alcune rocce e sedimenti australiani[56]; alcuni ricercatori ritengono che siano semplicemente delle formazioni cristalline, ma altri ipotizzano che si tratti di formazioni della più piccola forma di vita. La presenza di DNA, documentato dalle colorazioni specifiche [57] rafforzerebbero questa interpretazione. Queste formazioni sono simili alle strutture presenti nel famoso meteorite proveniente da Marte e classificato con il nome ALH 84001 [58]. Kajander e coll. ritengono che organismi simili ai nanobi possano essere implicati nella formazione di alcuni tipi di calcoli renali ed inoltre artefici della calcificazione della dentina e quindi essere veramente utili o necessari simbionti. 



Un’altra struttura particolare é il Prione [59], una particella infettiva priva di acidi nucleici di natura proteica, la cui struttura perde la forma elicoidale trasformandosi in forma planare o per mutazione o per contatto con la stessa proteina patogena. Questa particella infettiva proteica, è sensibile alle proteasi, ma resistente, a differenza dei virus e dei batteri, ad una temperatura di 360°C per oltre un'ora, alle radiazioni, alla formaldeide, alla varecchina e all’acqua bollente! 

Il Prione è anche un virus patogeno. Il suo isolamento avvenne grazie alla decennale ricerca dello scienziato americano Stanley Prusiner [60] nel campo delle cosiddette "neuropatie spongiformi”, malattie nervose degenerative caratterizzate dalla presenza nel cervello di gruppi di neuroni di aspetto spongioso e di placche amiloidi, simili a quelle del morbo di Alzheimer in assenza di ogni reazione infiammatoria. La trasmissione dei prioni può essere sia ereditaria, da madre a figlia, che per contagio; quest'ultima, nella maggior parte dei casi, è spiegata, con l’ingestione di carne infetta. 

I prioni sono attualmente considerati i più probabili agenti delle encefalopatie spongiformi trasmissibili (TSE) dell'uomo e degli animali. 

Nella scala delle strutture che presentano caratteristiche di tipo vitale esistono poi: i Viroidi, agenti infettivi simili ad un virus costituito da una piccola molecola di RNA ad anello non in grado di produrre proteine, ma di duplicarsi per auto-distacco e non rivesta dal capside. I viroidi infettano i vegetali e possono essere trasmessi mediante semi, pollini e strumenti agricoli. 

Anche i Virusoidi o RNA satelliti sono piccoli filamenti di RNA, formati egualmente da un singolo filamento circolare incapsulato nel capside di un altro virus e che si replica grazie al virus compagno. Ed arriviamo ai Virus, anch’essi strutture di dimensioni ultramicroscopiche, privi di capacità riproduttiva spontanea e giustamente considerati tra la vita e la materia inerte, conosciuti e studiati per gli effetti deleteri sugli organismi animali e vegetali, perché capaci di colpire il cuore delle cellule e di distruggerle. Inizialmente furono considerati veleni, miasmi, poi etichettati come le più semplici forme di vita e, nel 1935, retrocessi a sostanze chimiche di natura organica in seguito alla cristallizzazione del virus del tabacco [61]! 

Ora finalmente si è giunti a stabilire che i virus sono parassiti endocellulari obbligati, dopo che per decenni hanno rappresentato per gli scienziati degli enigmi, perché situati in bilico tra la vita e la non vita, tra la vita e la chimica organica. Oggi sappiamo che queste entità ancestrali costituiti da segmenti di RNA o di DNA sono coinvolte in tutte le forme di vita, perché sono causa di malattie a volte endemiche ed anche responsabili sia della scomparsa di specie, che del favorire indirettamente quelle emergenti, ed in definitiva hanno giocato e giocano un ruolo rilevante nell’evoluzione non solo passata, ma presente ed anche futura. 

La loro esistenza del resto si confonde con l’origine stessa della vita perché alcuni virus sono idonei a sintetizzare gli enzimi essenziali per il taglio e la ricucitura dei segmenti genomici risalenti sin dai primi istanti della vita. Strutturalmente sono formati da un segmento genomico più o meno esteso, vettore di un messaggio genetico, e da un involucro: il capside; non posseggono attività metaboliche e vengono passivamente trasportati fino a che non trovano una cellula da infettare; penetrati, assumono il controllo delle attività biosintetiche per produrre altri virus oppure possono inserirsi nel genoma dell’ospite in modo da poter essere replicati. 

Non tutti i virus sono patogeni perché molti vengono incorporati nel genoma della cellula [62]; la presenza di più di un centinaio di segmenti virali stabilmente inseriti nel nostro genoma e non presenti in organismi meno evoluti nella scala zoologica, come nel lievito Saccaromices Cervisiae, nel Cernorhabtidis elegans o nella Drosophyla melanogaster, suggeriscono la possibilità che frammenti genomici nei primordi della storia della vita possano essere stati inglobati nei Procarioti trasformandoli in Eucarioti, cioè costituendo il nucleo cellulare della futura cellula con un processo endobiotico simile e dimostrato per i mitocondri ed i cloroplasti [63]. Recentemente nei genomi di mammiferi tra cui il nostro [64], sono stati evidenziati elementi virali e non retro virali appartenenti al virus Borna (responsabile di encefaliti) endogenizzati 40 milioni di anni fa! Pertanto i virus rappresentano i singoli mattoni della vita stessa, come sin dal lontano 1959 fu prospettato dal Nobel Salvator Luria [65] che evidenziò la loro influenza nei confronti dell’evoluzione. 

La diffusione degli studi genomici di un numero sempre maggiore di organismi potrà ulteriormente rafforzare questa ipotesi più che plausibile. 

Siamo talmente radicati nel presente che non comprendiamo compiutamente le trasformazioni del mondo e non consideriamo, se non a tratti, che l’evoluzione non ha riguardato solo il passato, ma è tuttora presente con le stesse dinamiche che certamente saranno attuate anche nel futuro. Forse questo nostro atteggiamento è determinato dalla lentezza con la quale si manifestano le variazioni rispetto al nostro ciclo vitale e di conseguenza siamo indotti a valutare maggiormente i cambiamenti evolutivi avvenuti nel passato. Anche se molti hanno una visione del mondo cristallizzata in analogia con la loro mente. 

Gli stessi virus, che per impadronirsi delle strutture idonee alla loro replicazione necessitano di penetrare nelle cellule, evolvono al pari degli organismi propriamente detti modificando per mutazione la loro struttura genomica tanto da rendere possibile e favorire il loro passaggio da specie a specie diverse, come è stato recentemente evidenziato nel parvovirus FPLV (virus della panleucopenia felina) dal gatto al cane (CPV-2 canina). 

Quando descriviamo una montagna, certamente non utilizziamo solamente i detriti e le sue schegge, che potrebbero appartenere ad altre cime, ma la valutiamo nella sua totalità; ciononostante le briciole ci forniscono molte informazioni, sopratutto inerenti la sua storia. Lo stesso, e ci siamo accorti solo ora, è successo per l’evoluzione della vita. Consideriamola sì, nella sua totalità, ma non tralasciamo le briciole, e le briciole sono i virus, importanti come le pietre per lo studio della montagna. Che queste ultramicroscopiche strutture potessero influire non solo nello specifico ambito biologico dell’evoluzione, ma nella vita stessa del nostro pianeta, definito Gaia dal Lowelock, era a dir poco impensabile, durante i decenni nei quali la teoria che considerava il nostro pianeta come un essere vivente é stata a dir poco derisa! Anche in questo ambito fa capolino l’effetto farfalla: un’intuizione riesce a spiegarci la realtà in cui siamo immersi permettendoci di conoscere la continua formazione dell’ossigeno per respirare e di appartenere completamente alla complessità del mondo. 

Il continuo equilibrio evolutivo che determina la produzione di ossigeno e l’assorbimento di anidride carbonica dell’atmosfera è assicurato non solo dalla vegetazione delle terre emerse, ma, in misura simile dalle biomasse oceaniche, non considerate sino ad ora per questa funzione nemmeno dagli ecologisti. Partiamo dal dato che pesci, mammiferi acquatici, ecc. ecc. e le alghe rappresentano solo il 2% della biomassa oceanica [66] (!) e che del restante 98% , costituito da batteri, protisti e virus, solo l’1% è conosciuto! Questa restante enormità di forme viventi, costituita probabilmente da decine di milioni di specie, rappresenta l’oggetto di una estesa ricerca: la “TARA Oceans”, che coinvolge più di un centinaio di biologi, genetisti, fisici di tutto il mondo sotto l’egida del CNRS diretti da Chris Bowler [67] dell’Ecole Normale Superieure di Parigi; questo squadra analizzerà campioni marini prelevati dal veliero TARA per studiare il plancton nel Mediterraneo, mar Rosso e nei mari del mondo, che sarà circumnavigato; questa impresa scientifica su base industriale è simile a quella “artigianale” di Darwin, effettuata con il Beagle di 120 anni fa, e dimostra la diversa capacità organizzativa rispetto a quella del solitario Darwin, che anche in questo contesto – e mi ripeto – possiamo interpretare come il battito d’ali di una farfalla che ha modificato la conoscenza della storia dell’uomo. 


Questa ricerca genetico-biologica rappresenta il primo studio sistematico dei microrganismi del mondo sommerso sino a 150 metri sotto il livello del mare. E’ uno studio complesso e difficile, certamente foriero di numerose ripercussioni scientifiche e costituirà una base di riferimento per il futuro, considerando i continui sconvolgimenti climatici, che avvengono e continueranno a modificare l’ambiente; verranno scoperte nuove forme di vita con nuove caratteristiche, novità in ambito genetico e molecolare; questa, in definitiva, sarà la prima ricerca sistematica di biologia marina del “pianeta oceano” ancora sconosciuto! Lo studio della spedizione Tara Oceans presenta due vantaggi: la tecnologia e soprattutto la precisa finalità, che nello studio di Darwin si era formata solo durante il viaggio del Beagle, e i cui risultati furono oggetto di una riflessione durata più di vent’anni [68]! 



Fu Darwin, nel secolo scorso a formulare la teoria della selezione naturale, iniziando una rivoluzione scientifica di estremo interesse in campo biologico con risvolti anche di natura filosofica; rivoluzione scientifica ancora ostacolata per motivi puramente politici e di miopismo religioso. Tra gli organismi si svolge una costante lotta per la sopravvivenza, che si estrinseca con la competizione per procurarsi cibo, il partner riproduttivo, per sfuggire ai predatori, nascondersi; da questa continua lotta e dalla contingenza evolutiva genica emerge la selezione naturale, che porta ad una variazione della specie: gli individui che meglio si adattano all’ambiente sopravvivono e prolificano, gli altri soccombono. Questa evoluzione è determinata anche dalla parte immortale di ogni essere vivente: il gene [69], che replica se stesso e deve essere considerato un sistema autocatalitico, essendo in grado di promuovere esso stesso la propria selezione molecolare. 



Al di là del ruolo che i virus possono aver avuto ed hanno nel progresso e nel cambiamento evolutivo della molecola dell’informazione, la loro importanza nell’ambito dell’evoluzione travalica il ruolo eziologico delle tante malattie virali umane, animali e vegetali e si evidenzia in contesti a dir poco insospettabili; ad esempio i virus marini, scoperti una trentina di anni fa sono recentemente considerati responsabili di fenomeni inerenti le dinamiche climatiche (!), poiché dimostrano di possedere un’azione regolatrice ed in molti casi induttrice della formazione delle nebbie e delle nuvole, oltre a svolgere un ruolo determinante sugli equilibri geochimici. I virus infatti eliminando i batteri sono responsabili della liberazione di enormi quantità di carbonio calcolato in 0,37-0,63 gigatonnellate di carbonio all’anno, che viene reso disponibile per altre forme di vita oceaniche della rete della catena alimentare e modificando il fitoplancton, oltre lo zooplancton, interferiscono sulla fotosintesi responsabile della produzione di ossigeno sul pianeta. Per lo studio di questo complesso sistema la comunità europea ha istituito il progetto HERMES (= Hotspot Ecosistems Research on the Margins of European Seans), programma integrato di ricerca che servirà ad acquisire nuovi dati sulle strutture, sulla biodiversità, sulle funzioni e dinamiche degli ecosistemi lungo il margine delle coste europee a profondità oceaniche; verranno raccolti oltre 200 campioni di sedimenti e, per la valutazione della presenza dell’attività virale, verrà utilizzata una metodica standardizzata sull’epifluorescenza al microscopio [70]. 



Le nuvole, come sappiamo, sono formate da goccioline di acqua o, ad alta quota, da cristalli di ghiaccio, che si formano per condensazione del vapor acqueo; il fenomeno è favorito da nuclei di pulviscolo nell’atmosfera: pollini, spore, microbi e virus [71]. Le alghe marine, i microbi dell’atmosfera e le spore si servirebbero dei processi chimici legati alla condensazione dell’acqua per la loro diffusione, che da essi stessi é favorita. Poiché il fenomeno è ubiquitario queste strutture biologiche sarebbero in grado di influenzare considerevolmente il clima planetario; il fenomeno é favorito inoltre dal solfuro dimetilico emesso dalle alghe durante la loro “fioritura”, che determinerebbe la rottura delle bolle della schiuma del mare e la dispersione dei virus e delle spore presenti nell’acqua. 



La diffusione di questi “nuclei induttivi”, facenti parte del pulviscolo, favorita dallo spostamento delle masse d’aria, attualmente è studiata da quindici satelliti, che diuturnamente monitorizzano la formazione di uragani ed il clima su scala globale [72]. Sin dal 2005 furono lanciati due satelliti: il “Could Sat” ed il “Calipso” per lo studio tridimensionale delle nuvole ed anche delle tempeste di sabbia, che sono anch’esse vettrici di agenti patogeni [73]; sino a pochi anni fa si pensava che i vettori dei tanti agenti biologici patogeni fossero le zanzare e altri vettori animali. Ora siamo a conoscenza che le tempeste di sabbia trasportano da un continente all’altro una serie notevole di patogeni e che il fenomeno viene conosciuto con tre giorni di anticipo al “Center for Disease Control di Atlanta”. E’ incredibile che la quantità di polvere veicolata nell’atmosfera terrestre in un anno sia pari a 13 milioni di tonnellate e che ogni grammo mediamente contiene 1 milione di batteri, 100 mila virus [74] e 100 spore di funghi [75]! Secondo il medico militare Mark Lyes le tempeste di sabbia in Irak ed Afganistan indeboliscono i poteri immunitari, perché le tempeste veicolano oltre i tradizionali agenti patogeni, metalli pesanti tossici per l’uomo quali il nichel, l’alluminio, il piombo e lo stronzio e io aggiungo: le polveri sottili, che riescono, oltrepassando le difese organiche tissutali dell’albero respiratorio, a penetrare direttamente nelle cellule del nostro organismo [76], alterando direttamente la molecola del DNA [77]. I venti innescano il fenomeno a partire dalle zone desertiche dell' Africa, dell' India, dell' Iran e della Cina e trasportano ondate di finissime particelle di polvere, che salgono fino a 3.000 metri di quota e attraversano, ad esempio l' Oceano Atlantico nel giro di 5-7 giorni. Le particelle più piccole di 0,002 mm possono rimanere sospese nella troposfera per parecchi giorni e seguono le correnti in quota che costituiscono vere “autostrade atmosferiche intercontinentali”. Il controllo satellitare dallo spazio ha permesso di scoprire molteplici flussi di polvere nell' atmosfera: oltre a quello tra l' Africa e l' America, ve ne sono tra l' Iran e l' India, tra la Cina e gli Stati Uniti. Entro il 2015 saranno messi in orbita altri due satelliti: il “Glory” e l’”Aquarius” per studiare la chimica e gli inquinanti dell’atmosfera, che si aggiugeranno ai quindici attualmente esistenti e che sino a quella data saranno sostituiti con altrettanti muniti di strumenti di nuova generazione. 



Gli studi riguardanti l’inquinamento atmosferico si intrecciano e si complicano con le recenti scoperte di una ubiquitaria classe di virus solo da pochi anni individuata. Nel 2003 un gruppo di ricercatori francesi [78] dell’unità di “Malattie infettive ed emergenti” ha pubblicato uno studio su Science riguardante un virus di 1 micron, perciò di dimensioni gigantesche, capace di infettare le amebe, individuato in un sistema di refrigerazione. Questo virus che sino ad allora era stato erroneamente definito batterio sia per le sue dimensioni che per la sua colorazione gram positiva, fu chiamato dallo scopritore Tom Rowbotham, Bradfordcocco, perché trovato in un’ameba, l’“Achanthameba polyphaga”, proveniente da Bradford in Inghilterra. Il virus, perché di virus si trattava, è stato in seguito chiamato Mimivirus, acronimo di “Mimicking Microbe Virus” ed il suo genoma ha rivelato di possedere più di 1.200.000 di basi e 911 geni, che codificano per altrettante proteine, rispetto alle decine di migliaia di basi possedute dai virus fino ad oggi conosciuti. Il suo genoma ha in seguito evidenziato la presenza di ventuno geni, di cui nove della famiglia dei grandi virus a DNA, il che dimostra la discendenza da un antenato comune esistito 3 miliardi di anni fa. Il genoma contiene geni coinvolti per la sintesi aminoacidica, lipidica e degli zuccheri ed altri geni metabolici mai osservati nei virus conosciuti; possiede inoltre il 10% di DNA “spazzatura”, evidenziando la sua possibile plasticità evolutiva. Questo virus rappresenta una scoperta sconcertante, che modifica e rivoluziona le conoscenze e tutte le ipotesi sino ad ora formulate circa l’origine e l’evoluzione della vita, perché possiede molte caratteristiche che lo pongono al confine fra i viventi ed i non-viventi. Presenta dimensioni di molti organismi batterici, come le ricketzie e molte altre cellule procariote, possiede un genoma di dimensioni comparabili a molti procarioti anche non parassiti, e codifica per proteine apparentemente inutili per l’esistenza di un normale virus. Inoltre contiene geni che codificano per enzimi coinvolti nella sintesi di nucleotidi e amminoacidi, che durante l’evoluzione sono stati perduti da molti virus parassiti intracellulari obbligati. Ciò significa che diversamente da questi virus che possiamo definire normali il mimivirus non dipende dal genoma della cellula ospite per espletare i processi metabolici necessari alla loro produzione e mostra comunque di aver perso i geni per le proteine ribosomiali, rendendolo dipendente dal suo ospite per quel che riguarda la sintesi proteica ed i processi energetici. Questi fattori combinati hanno indotto gli scienziati a chiedersi se il mimivirus possa essere considerato una forma di vita distinta, appartenente ad un ulteriore dominio oltre ai normali eucarioti, batteri ed archea. Ciononostante il mimivirus non mostra le caratteristiche che sono considerate essenziali nella corrente definizione di vita: l’omeostasi, la risposta agli stimoli, la crescita e la riproduzione nel senso classico di divisione cellulare. 

Da quella scoperta, con la metagenomica, che consiste nel sequenziamento massiccio del materiale genetico, sono stati scoperti numerosi virus appartenenti alla famiglia del Mimivirus: i “Mimiviridae”, che sono risultati estremamente diffusi ed abbondanti in natura: in ogni millilitro di acqua marina ne sarebbero contenuti un milione e nelle zone costiere sino ad un miliardo! 

I Mimivirus sono ubiquitari e non sono stati mai individuati a causa delle loro dimensioni, perché da sempre i virus sono studiati solo dopo filtrazione per essere separati dai batteri. Perciò questi virus sono stati eliminati sistematicamente dalle ricerche! Con la criomicroscopia elettronica sono stati evidenziati dettagli strutturali del capside che esternamente presenta una struttura a stella di mare ed i cui solchi convergono verso un varco che potrebbe servire all’espulsione del proprio DNA nella cellula dell’ameba [79], [80]. 

Lo stesso gruppo di Scola studiando l’acqua di un sistema di raffreddamento alle Halles di Parigi, ha individuato un altro ceppo di APMV [81] i cui rappresentanti sono ancora più grandi del Mimivirus e lo hanno battezzato Mamavirus. La sorpresa, la meraviglia è stata quando al microscopio elettronico il Mamavirus era ripieno di particelle virali molto piccole. Questo micro virus è stato battezzato Sputnick e rappresenta il primo virus capace di infettare un altro virus. Possiede 18.000 paia di basi che formano 21 geni: 13 di provenienza sconosciuta, 3 correlati a quelli del Mamavirus e 5 con somiglianze con altri virus e batteri. Il virus Sputnick é praticamente un virusfago analogamente al virus batteriofago che infetta i batteri, ma diversamente da questo, utilizza l’intrusione del Mamavirus per penetrare nella cellula dell’ameba per moltiplicarsi e determina come ringraziamento una riduzione della patogenicità del 70% del Mamavirus, senza il quale non potrebbe svolgere il suo ingresso e la sua esistenza! 

Il Mamavirus che infetta la cellula dell’ameba, contemporaneamente attiva il proprio genoma comportandosi come fosse un nucleo, e questo pseudo nucleo viene contemporaneamente infettato dal virus Sputnick come fosse un nucleo cellulare. Il fatto che un virus si ammali lo fa considerare un organismo vitale [82]. 

La scoperta della verità è il risultato di tante piccole verità: è come la risoluzione di un Puzzle, ma la verità a volte è l’emersione di una situazione che non trova riscontro nei singoli componenti del gioco. 

Come disse Francis Krik, che con Watson scoprì la struttura del DNA molecola dell’informazione genica, i Geni sono le carte, sta a noi scoprire il gioco della vita. 

In effetti con quelle carte non solo la nostra esistenza, ma l’esistenza di tutte le specie può essere giocata. Ora, in questo caso siamo in possesso di qualche “Jolly virale”, che era fuori dal mazzo e forse ci costringe a reinterpretare il gioco stesso! 

Dopo due anni dalla scoperta del primo virofago esaminando la microflora di un lago antartico l’Organic Lake nella regione di Vestfold Hills, formatosi 6.000 anni fa quando i livelli del mare erano più alti, è stato scoperto un altro virofago: l’Organic Lake Virophage (OLV) [83] che infetta un Picodnavirus a sua volta deleterio per la fioritura delle alghe giganti. E’ un’ulteriore dimostrazione della complessità delle reti della vita: virus piccolo “mangia” quello medio, aiutando la struttura vitale più grande! 

Contemporaneamente è stato scoperto da Curtis Suttle, microbiologo marino un altro visus fago: il Mavirus [84] in grado di salvare lo zooplancton infettando il virus Caffetteria roenbergensis. Le prede dei tre virusfagi sinora noti appartengono ad un gruppo di virus giganti i nucleocytoplasmic virus a DNA (NCLDV), che possedendo genomi grandi e complessi permettono l’integrazione di virufagi più piccoli. Al largo delle coste del Cile è stato poi scoperto il Megavirus chilensis [85] che possiede il più grande genoma virale sino ad oggi sequenziato e capace di codificare 1.120 proteine di cui il 23% diverse dal Mimivisus. 

L’estensione e la diffusione dei Mimiviridiae, la loro complessità strutturale e metabolica ed alcuni dati genetici che proverebbero la loro discendenza da antenati esistiti milioni di anni fa, potrebbero far sospettare la loro appartenenza, anche per la loro similitudine morfologica agli Acritarchi precambrani, le prime alghe microscopiche scoperte da Walcot nel 1876 a Saratoga (New York) in formazioni rocciose tondeggianti e lamellari tipo Cryptozoon 86]. Aritarchi esistiti 2.400 milioni di anni fa! La scoperta dei Mimivirus aggiunge un importante tassello a ciò che sino ad oggi si sapeva nel campo della virologia e comunque dimostra la capacità tentacolare della progressione del percorso evolutivo della vita. Ed è sorprendente che questa nuova specie di virus sia morfologicamente simile ad alcuni Acritarchi della formazione di Lachanda di 950 milioni di anni fa [87]! 


Un tempo di fronte alla meraviglia del nascere di un fiore, allo stupore del proscenio della vita, alla vastità dell’evoluzione è stato più che ovvio abbinare questa “forza vitale” a quella di una figura antropomorfa infinita, di smisurate capacità. Ora le stesse emozioni, la stessa meraviglia provata al nascere di un fiore, lo stesso stupore al proscenio della vita, associati e filtrati da dati che ci provengono da ipotesi confermate, da prove reali di studi scientifici, che la nostra mente, meraviglia delle meraviglie ci dimostra essere il risultato di leggi dell’autorganizzazione individuate e provate scientificamente. E’ pertanto il tempo di unificare questa “forza vitale” assemblandola con i risultati delle ricerche e distribuendola in tutti i contesti ove si presenta. E’ questo l’ultimo atto che pone fine al riduzionismo! E considerare la forza che l’Universo stesso possiede senza attribuirla ad entità antropomorfe. 


Le tre necessità essenziali, unificate e caratterizzanti l’individualità delle cellule, sono, come in precedenza ho descritto: l’isolamento, che crea l’essenza dell’individualità, riducendo le infinite possibilità di interferenze esterne, estranee, e concentrando le proprie dinamiche per le proprie funzioni, per il proprio metabolismo, sinonimo di una progressione evolutiva dell’autorganizzazione ed infine, terza necessità, l’informazione, atta a conservare nel tempo ed a far continuare nelle unità cellulari successive il progetto o i progetti già percorsi ed attuati: in un equilibrio da un lato dell’autorganizzazione e dall’altro della criticità incombente, capaci di determinare l’evoluzione o migliorativa, o stabile, se non addirittura la propria interruzione evolutiva, che a volte può venir bypassata da percorsi alternativi non utilizzati in precedenza perché non idonei alla progressione in quel particolare momento. 



Diverse strutture cellulari riescono ad auto-assemblarsi quando l’informazione occorrente per la necessaria aggregazione risiede nelle stesse sub-unità, come è dimostrato dal successo ad auto assemblarsi in una struttura funzionante anche dopo essere state separate e purificate in vitro. 



Numerosi sono gli esempi di auto-assemblaggio che posso citare [88]: se, ad esempio, mescoliamo sperimentalmente l'RNA purificato del virus del mosaico del tabacco con le proteine del proprio rivestimento, anch'esse purificate, l’auto-aggregazione produce lo stesso virus con la medesima struttura elicoidale e perfettamente dotato di capacità infettive. Egualmente lo stesso fenomeno avviene ponendo le 55 subunità proteiche con le 3 diverse molecole dell’RNA di un ribosoma batterico, che risulterà nuovamente funzionante al cento per cento. Le molecole di protocollagene, secrete dai fibroblasti scisse in molecole di collagene, si auto-assemblano a formare le fibrille, che sono componenti principali del tessuto connettivo. E così i lipidi auto-assemblandosi in un doppio strato formano le membrane cellulari, ed inoltre tali molecole tendono anche ad essere auto-sigillanti, formando delle piccole vescicole: i liposomi, che in opportune condizioni presentano anch’essi ridotte capacità auto-duplicative. 



Le molecole di Actina, componenti essenziali del citoscheletro delle cellule muscolari, si auto-assemblano spontaneamente in filamenti e sono responsabili, insieme alla miosina, della contrazione muscolare. Un tipo particolare di auto-assemblaggio si evidenzia anche nei corpuscoli basali e nei centrioli: i corpuscoli basali organizzano i microtubuli in una impalcatura che è presente nelle ciglia e nei flagelli di alcune cellule; i centrioli organizzano intorno a sé i microtubuli per contribuire a formare il citoscheletro della cellula, e, durante la mitosi, i poli del fuso mitotico che risulta essenziale per la separazione dei cromosomi delle due nuove entità cellulari. 



I centrioli (presenti nelle cellule animali) sono costituiti da una coppia di cilindretti disposti ortogonalmente che si separa poco prima della suddivisione della cellula; ciascun cilindretto si duplica, ottenendone complessivamente quattro, che a due a due migrano ai poli opposti della cellula organizzando il fuso mitotico per la divisione cellulare. 

In esperimenti in vitro i monomeri di tubulina sono in grado di autoassemblarsi in microtubuli, ma non sino a formare i centrioli o i corpuscoli basali: forse l'informazione della struttura di questi corpuscoli risiede nei corpuscoli stessi, e si attua tramite uno sconosciuto meccanismo di stampo. 

Un organismo vivente può essere considerato come un'intricata rete di processi sinergici: a livello molecolare, in cui operano reazioni di tipo autocatalitico e iperciclico, insieme a processi spontanei di autorganizzazione a livello sovramolecolare ove si trovano gli organuli cellulari, le membrane e le strutture citoscheletriche, la cui crescita e/o duplicazione è il risultato di processi autorganizzativi. Una cellula pertanto si mantiene viva, cresce e si duplica, perché al suo interno ci sono strutture autocatalitiche ed autoassemblanti che crescono e si degradano incessantemente. 

Inoltre nell'organismo pluricellulare i singoli componenti cellulari cooperano alla costruzione ed al mantenimento del corpo, ma non tutte le strutture e le funzioni della singola cellula sono codificate nei geni dei cromosomi, non vi è pertanto un’unica centrale che ordina e organizza, ma più “centri autoreplicativi” che, agendo in sinergia, formano la cellula vivente. Certamente il centro autoreplicativo più evidente dipende dai cromosomi ed è anche il più importante, ma non possono essere sottovalutate le capacità “autoreplicative” delle membrane cellulari, del citosoma e dei vacuoli, delle ciglia e dei flagelli, dell'apparato di Golgi e del reticolo endoplasmatico, dei centrioli e del citoscheletro, che rappresentano parti essenziali delle attività della cellula. 

Non tutta l'informazione necessaria per assemblare una cellula è dunque contenuta nel suo DNA: per alcune strutture cellulari esiste una forma di eredità non genetica, che trova nell’autorganizzazione la sua ragion d’essere. 

In ambito biologico l’autorganizzazione esprime la sua ubiquità; gli esempi di questa forza plastica creativa emergente sono innumerevoli e si riscontrano in situazioni che non avremmo mai immaginato; ad esempio gli schemi eleganti delle conchiglie dei mitili sono frutto dell’auto-organizzazione biologica del tutto simile a quella riprodotta recentemente dai ricercatori del Max-Planck-Institut e creata nel mondo delle nano particelle attraverso un processo di cristallizzazione controllata, riuscendo ad accoppiare una reazione chimica oscillante (tipo Belousov-Zhabotincky) con processi di cristallizzazione controllata e di auto-organizzazione in polimeri [89]. 

Le primitive cellule si riproducevano dividendosi, come accade oggi ai batteri, e in seguito evolvendosi, hanno iniziato a replicarsi in modo sessuato: essenziale conquista della vita perché permette il mescolamento del materiale genetico, materno e paterno nel nuovo essere, determinando la biodiversità, che rappresenta l’essenza stessa della vita. 

Nel nostro organismo molte strutture cellulari dei primitivi organismi monocellulari di miliardi di anni fa sono ancora presenti nel nostro organismo: le ciglia vibratili nelle cellule dell’epitelio bronchiale, i globuli bianchi, che con la fagocitosi ci difendono dai germi patogeni, la coda degli spermatozoi che presenta la stessa struttura microscopica dei flagelli usati per la locomozione. Queste identità strutturali certamente non sono casuali! Quando un brevetto è utile in un contesto, rimane sempre attuale! Squadra vincente non si cambia! 

Gli organismi monocellulari, granelli di polvere di vita, vengono informati dai recettori superficiali di membrana della presenza di ossigeno, di luce, di sostanze nutritive ed anche dell’esistenza di sostanze nocive e di predatori o competitori. Questi segnali inducono risposte motorie diversificate: verso: verso il cibo, o di fuga: fuga dal nemico o dai tossici. 


La capacità di comunicare, di ricevere ed di rispondere ai segnali che arrivano dall’esterno è un processo basilare per la vita; anche le cellule, come ogni essere umano, è fondamentalmente interconnessa con l’ambiente che la circonda. 


Le cellule degli organismi pluricellulari, fondamentalmente simili, ma con funzioni diverse si scambiano numerosi segnali ed informazioni: quelle delle piante sono sensibili ai fattori di crescita ed alle variazioni della luce, quelle degli animali si informano della loro corretta posizione sin durante lo sviluppo embrionale e sulla concentrazione di glucosio e di nutrienti dell’ambiente intercellulare. 



Benché i batteri sono da noi studiati isolatamente, come organismi unicellulari, in realtà in natura, crescono aggregandosi in base a substrati chemiotattici formando modelli estremamente variabili in base alla concentrazione del substrato ed alla specie batterica, e vivono in comunità, che dipendono dalla loro intercomunicabilità, che alle cellule conferisce proprietà emergenti per l'intera colonia; ad esempio, si auto-organizzano nel biofilm che incrementa la loro sopravvivenza alle mutate condizioni ambientali. Questi biofilm mostrano proprietà emergenti: come ad esempio la farmaco-resisteza con conseguenze per i malati estremamente negative quando contaminano cateteri o altri dispositivi sanitari strumentali o semplicemente i nostri denti. 



Alcune molecole, come ad esempio l’AMP ciclico, sono in grado di indurre e favorire l’autorganizzazione, come succede quando la sua concentrazione incrementa sia all’interno delle singole cellule che tra cellule diverse, e risulta essere anche un fattore responsabile della comunicazione intercellulare; questo fenomeno accade anche nel particolare ciclo biologico del Disctyostelium discoideum, studiato da Golbeter [90], esempio del confineindistinto tra la biologia unicellulare e quella pluricellulare. Questa muffa mucillaginosa è unicellulare in condizioni idonee alla sua crescita, ma in ambiente privo di nutrimento secerne l’AMP ciclico (cAMP) che stimola analogamente le altre cellule a rilasciarlo. In tal modo induce le singole spore ad unirsi in un aggregato di più di 100.000 cellule, costituendo un corpo fruttifero: uno stelo di tre millimetri che sorregge il serocarpo. Tale sferetta di mucopolisaccaridi contiene 70-80.000 spore, che, quando si trovano in un terreno ricco di materiali nutritivi germinano e ciascuna dà origine ad un nuovo organismo unicellulare. Questa metamorfosi ciclica è condizionata dalla concentrazione dell’AMP ciclico e risulta essere uno spettacolare adattamento ambientale, utile alla diffusione di questa particolare muffa. Il processo aggregativo di questa ameba acrasiale è considerato da trent’anni il primo e classico esempio di comportamento autorganizzativo con autorganizzazione “bottom-up” [91]; all’inizio e per molti anni il modello “bottom-up” non fu accolto, ma considerato con una sorta di avversione verso i modelli olistici, analogamente a quanto accade per l’evoluzione darviniana da parte dei creazionisti. 



Il ciclo biologico del Disctyostelium discoideum, come l’aggregazione chemiotattica dei batteri idonea alla formazione del biofilm, possono venir considerati per analogia espressione di quello che, nelle prime fasi dell’evoluzione biologica è avvenuto quando gli elementi monocellulari si sono evoluti, aggregandosi nelle forme pluricellulari documentate dalla fauna di Ediacara e, rispettivamente nella sintesi biogenetica tra cellule e procarioti: quando le cellule si sono arricchite dei mitocondri e dei cloroplasti per poter sopravvivere. In tutte le fasi dell’evoluzione biologica l’autorganizzazione ha rappresentato e rappresenta l’espressione evolutiva fondamentale. 



Lo studio effettuato da un gruppo di ricercatori della Stanford University ha contribuito al chiarimento di alcuni aspetti genetici cruciali per la comprensione del passaggio evolutivo degli organismi monocelulari in quelli pluricellulari [92]. L’oggetto della ricerca è stato proprio il Dyctiostelium discoideum di cui recentemente su Nature è stata dimostrata la capacità di coltivare dei batteri utili all’alimentazione allorquando l’ambiente diviene sfavorevole a causa della ridotta umidità del terreno e della riduzione alimentare [93]. Quando il plasmodio assume la sua forma pluricellulare per aggregazione di migliaia di spore affamate che comunicano tra loro e seguono lo stimolo chemiotattico da esse stesse secreto: l’AMP ciclico, cioè l’Adenosina monofosfato ciclico che è anche responsabile dei movimenti chemiotattici dei loro pseudopodi. Il nuovo organismo, in formazione pluricellulare, si comporta come una lumaca dirigendosi in un luogo luminoso ed inizia il differenziamento producendo il corpo fruttifero di pochi millimetri d’altezza la cui sommità fuoriesce dalla superficie del fango e comincia a diffondere le spore. In questa fase la parte superiore dello stelo contribuisce alla formazione del gambo ed è proprio in questa fase che i geni del Dyctiostelium sono stati studiati dal gruppo di Stanford; sono state evidenziati due omologhi di due proteine l’α-catenina e la β-catenina, che negli animali superiori contribuiscono a regolare la formazione del tessuto epiteliale polarizzato, tessuto specializzato presente nella fase di sviluppo embrionale ed anche in alcuni tessuti adulti, contribuendo all’adesione cellulare e consentendo lo sviluppo cellulare differenziato a seconda della localizzazione delle cellule nel tessuto stesso. Il tessuto epiteliale dello pseudo plasmodio ha la capacità di secernere le due proteine conferendo la rigidità dello stelo del serocarpo per sostenere il corpo fruttifero. Nello studio è stato anche dimostrato che la maturazione del corpo fruttifero non avviene quando si inibiscono i due geni responsabili utilizzando RNA interferente. Negli organismi animali questi due geni prentano una ben precisa funzione, mentre nel Dyctiostelium per altre finalità; ed è questo un chiaro esempio, chiamato da Darwin exaptation, cioè come una struttura ideata per una funzione venga poi utilizzata nell’evoluzione per scopi diversi. Dimostrando che la semplicità funzionale è l’arma vincente per l’evoluzione. 

Il comportamento del Dyctiostelium rappresenta un ponte tra la monocellularità e la pluricellularità: passo evolutivo essenziale per la progressione e l’evoluzione della vita sul nostro pianeta e rappresenta anche un esempio di endosimbiosi, cioè dell’utilizzo di strutture che nel corso dell’evoluzione sono state inglobate nel citoplasma di una cellula fagocitaria conservando la propria identità funzionale, utilizzata in seguito dalla cellula che l’ha fagocitata. E’ questa l’origine di tanti organelli citoplasmatici procarioti utilizzati dagli eucarioti similmente a quanto è avvenuto con la formazione dei mitocondri nelle cellule animali e dei cloroplasti in quelle vegetali. La simbiosi si traduce in una funzione funzionale all’organizzazione della cellula fagocitaria: il mitocondrio deriverebbe da un batterio aerobico, che si è adattato a vivere in una cellula eucariotica ancestrale con metabolismo anaerobico fornendo la struttura aerobica capace di modificare in senso aerobico il metabolismo cellulare con un cospiquo vantaggio evolutivo. Questa dinamica si riconosce considerando l’esempio di popolazioni povere ed affamate, ma vigorose che, ospitate da nazioni ricche e sonnolenti, contribuiscono nel tempo, divenendo parte integrante della nazione ospitante, alla vitalità ed a una crescita superiore. 


Tornando al Dyctiostelium l’integrazione dei batteri nel corpo fruttifero permette la semina e la diffusione dei batteri utilile al Dyctiostelium che si sposta ed occupa un altro territorio. 



L’autorganizzazione si trova, come già detto, in altri contesti: nelle colonie del regno animale la si osserva al volteggiare di uno stormo di fringuelli, al fluire di uno sciame di api o di un branco di pesci. “La Mente alveare” [94], come è stata definita da Kalvin Kelly, non é un sistema piramidale, nessun componente predomina: é l’insieme che presenta caratteristiche particolari, emergenti, essenzialmente proprie. 



Comunemente siamo indotti a considerare qualsiasi aggregato animale dipendente da un capo-branco o da una struttura verticistica: anche per le formiche identifichiamo nella regina il vertice della piramide sociale; tutti purtroppo siamo affetti da uno statalismo stalinista latente o verticistico monarchico e solo gli studi recenti di Deborah Gordon [95], studiosa dei sistemi emergenti autorganizzati hanno dimostrato che le colonie di formiche fanno risaltare comportamenti culturali e intelligenti che la singola formica, anche la regina, non possiede. Generalmente la formica si avvale solo di una decina di informazioni che derivano dal contatto diretto e da non più di nove indicazioni di tipo feromonico: per comunicare secernono infatti un numero finito di sostanze chimiche e frequentemente rigurgitano il cibo digerito di recente, per comunicare la presenza di cibo. Le formiche soldato ad esempio rilasciano un feromone proprio della loro categoria di soldati; quando l’odore risulta scarso altri soldati accorrono per ristabilire la giusta “puzza” e di conseguenza il giusto numero di soldati! 



Nelle colonie di formiche l’autorganizzazione fondamentalmente è “bottom-up”: esse non sono comandate dalla regina, che rappresenta solamente la funzione riproduttiva; le formiche non seguono le direttive di una struttura verticistica, tuttavia si attengono rigorosamente a delle regole tenendo conto delle tracce feromoniche [96]: l’intensità e la frequenza di tali segnali rappresentano per la singola formica l’induzione alle proprie azioni sul piano strettamente locale. Una colonia di formiche senza regole locali non ha alcuna possibilità di creare un'intelligenza collettiva, un ordine di livello più elevato. L’incontro occasionale tra formiche della stessa colonia determina un semplice feedback locale, punto cruciale della pianificazione decentrata, che induce il comportamento sociale, risultato di una rete i cui nodi sono rappresentati dalle singole formiche ed i collegamenti dalla loro capacità comunicativa, che si basa su poche “informazioni”. Questo sistema, che apprende dal basso si basa pertanto su semplici principi: in primis la necessità di interazioni: più il sistema é espanso, maggiori connessioni presenta, maggiore e più valido é la rete emergente cui dà luogo e maggiori sono le possibilità adattative ed evolutive. Qualità essenziali sono la “semplicità” e la “stupidità” della singola formica, che non possiede un sistema cognitivo che possa realizzare ricordi nè tanto meno l’elaborazione degli ordini; dobbiamo del resto ricordarci e considerare la “banale” stringa binaria 0 e 1, base del funzionamento del linguaggio digitalico essenza dei più complessi strumenti del nuovo mondo al silicio! 



Paragonando il comportamento delle formiche di una colonia alle cellule di un organismo pluricellulare, si riscontrano continue e molteplici analogie e se si rimane maggiormente colpiti dalla loro sconfinata e precisa organizzazione sociale, dobbiamo considerare che il nostro organismo pluricellulare si è evoluto in circa cinque milioni di anni, per il tempo di 100.000 generazioni, mentre la società delle colonie di tutti i cosidetti insetti sociali in circa cento milioni di anni [97], per il tempo di 10 miliardi di generazioni! Particolarmente interessante é l’analogia che possiamo focalizzare tra una singola formica ed un singolo neurone del nostro cervello: il neurone non sa, non conosce, non pensa, é solo in connessione con altre cellule simili con le quali rappresenta una rete locale, base della proprietà emergente del cervello, il substrato del pensiero; quest’organo, che fino a pochi anni fa era erronemente considerato statico ed immutabile, risulta invece essere dinamico, autopoietico, plastico e in grado di sviluppare continuamente nel suo interno nuove connessioni neuronali [98]. E’ ormai confermata l’ipotesi del Darwinismo neurale di Edelman [99], [100], secondo cui lo sviluppo del cervello si baserebbe sul principio della selezione neurale: le connessioni tra neuroni sarebbero frutto dell’esperienza e solo in minima parte stabilite dal codice genetico. 

L’iter evolutivo infatti sottostà ad una duplice dinamica: quella divergente, espressa in ambito biologico dall’evoluzione darwiniana e quella convergente dell’autorganizzazione; entrambe, vengono delineate da una curva alla potenza, perché sono inserite nel tempo, risultando di conseguenza espressioni dell’autosimilarità, caratteristica dell’accrescimento frattalico. 

Il destino delle formiche, come per ogni specie, rappresenta il risultato della pressione ambientale, che influenza l’autorganizzazione e la selezione darviniana; pertanto l’ambiente non é l’unico fattore determinante il loro comportamento, perché anch’esse, “nel loro piccolo, oltre ad incazzarsi” [101], sono soggette a meccanismi derivanti dal loro patrimonio genetico, anche per quanto riguarda i fattori che influenzano la diversa dimensione degli insetti in una stessa colonia, che certamente condiziona la divisione dei loro ruoli e del lavoro che svolgono all’interno della società. A proposito del loro destino, uno dei fenomeni naturali più drammatici di suicidio collettivo, è certamente il “circolo della morte delle formiche”, che, seppur raramente, coinvolge migliaia e migliaia dei minuscoli insetti: formiche operaie e guerriere della specie Eciton Burchelli, che iniziando una processione spiraliforme con un diametro anche di quattrocento metri si incamminano una dietro l’altra verso una morte certa per sfinimento per raggiungere il punto centrale della spirale, raggiunto solo da poche. Il fenomeno, che è chiamato anche”spirale della morte” [102], non è dovuto a motivazioni psicopatologiche caratteristiche di rare sette mistiche di noi umani, ma dalla loro necessità a seguire le tracce feromoni che, che le “aggancia” alla formica che le precede [103]. 

Recentemente uno studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences [104] ha chiarito che la casta di appartenenza delle formiche tagliafoglie (Acromyrmex echinatior) non è condizionata unicamente dai fattori ambientali, nutrimento e l'esposizione a particolari ormoni, ma anche è il risultato dei geni che determinano una predisposizione al loro sviluppo. 

Le formiche tagliafoglie (la specie studiata in questo caso è Acromyrmex echinatior) delle foreste sudamericane tagliano le foglie delle piante, le trasportano nei formicai e le utilizzano per coltivare i funghi di cui si nutrono. Anche la loro organizzazione prevede una divisione del lavoro, con due caste sterili di lavoratori: una è di piccole dimensioni e si occupa della coltivazione dei funghi e della crescita della prole, l'altra di dimensioni molto più grandi va in cerca del cibo e provvede alla difesa di tutta la colonia. 

Si pensava che i fattori ambientali fossero gli unici discriminativi per l'assegnamento a una determinata casta, come il tipo di cibo, con cui sono nutrite le larve, o gli ormoni cui sono esposte, ma gli autori [105] dello studio hanno dimostrato che anche i geni giocano un ruolo determinante; analizzando il Dna delle due caste delle formiche taglia foglie: le lavoratrici grandi e piccole di diverse colonie hanno scoperto che da alcuni padri nascono con più probabilità figlie che apparterranno a una sola casta. Questi risultati dimostrano che i geni paterni forniscono una predisposizione allo sviluppo in una direzione piuttosto che in un'altra, ma questa predisposizione può essere in seguito cambiata da fattori ambientali, se sussiste la necessità. 

Risultati simili sono stati osservati anche nelle api produttrici di miele, nelle quali risulta che il patrimonio ricevuto in eredità dal padre predispone le larve a ricoprire un determinato ruolo all'interno della società, anche se, in questo caso, non esistono differenze strutturali degli insetti che svolgono mansioni diverse. Il doppio controllo genetico-ambientale dello sviluppo delle formiche, rispetto a un controllo solamente ambientale, permette alla colonia di rispondere con maggiore flessibilità e rapidità ai cambiamenti richiesti dal contesto ambientale. 

I meccanismi postulati per chiarire l’enigma dell’origine della vita si basano sui sistemi complessi adattativi, che in modo creativo si adattano alla realtà in cui sono immersi e posseggono la capacità di modificare le proprie dinamiche autorganizzandosi in base ai risultati ottenuti. La definizione della vita esposta dal biochimico Gerald Joyce, è giustamente così formulata: “La vita è un sistema dinamico che si automantiene ed è in grado di subire l’evoluzione darwiniana”. 

Il suo carattere distintivo infatti è la riproduzione e la possibilità di subire mutazioni atte a renderla capace di affrontare la selezione naturale. I sistemi viventi, considerati reti adattative con proprietà emergenti, evolvono dunque nel mondo della complessità, ove l’essenza dinamica é rappresentata dall’autorganizzazione. 

Lo studio dell’autorganizzazione delle colonie animali mette in risalto che i problemi possono essere risolti da una moltitudine relativamente inadeguata e non preparata, anziché da una singola o oligarchica “mente direzionale”, concetto che sino ad oggi veniva considerato l’unico elemento in grado di risolvere le difficoltà ed indicare la giusta evoluzione. Solo recentemente si riconosce un nuovo corpus cognitivo dalla rete culturale, i cui nodi sono apparsi in contesti e tempi diversi, che ora mi permettono di affermare che l’autorganizzazione rappresenta effettivamente un fenomeno universale per la sua validità ed unicità, accompagnandoci nella nostra comune storia evolutiva. 
Il corpo è l’ancora della nostra mente e della vita; facciamo parte della realtà, non siamo isolati: a questo assunto c’è una dimostrazione matematica: se prendiamo una retta e la dividiamo in tre parti e scartiamo la parte centrale avremo due rette; se ciascuna di queste le dividiamo in tre parti e reiteriamo queste divisioni: alla fine dopo tante divisioni, come risultato, avremo un infinito numero di punti isolati, ma matematicamente facenti parti dello stesso segmento iniziale; questo è l’insieme di Cantor [106]. Questo esempio vale per noi, per l’Universo, per tutti gli esseri viventi ed anche per le cellule: i costituenti del nostro organismo. Anche loro costituiscono un altro tipo di polvere; non possono rimanere isolate e comunicano tra loro costituendo una rete mirabile e complessa. Del resto le nostre cellule sono identiche a quegli organismi monocellulari, che milioni di anni fa avevano sviluppato le stesse funzioni che attualmente le nostre cellule continuano a utilizzare. 

Ogni sistema dell’Universo come l’Universo stesso è costituito da una serie di componenti che rappresentano una rete; e sappiamo inoltre che nell’Universo non esiste alcuna struttura più complessa del nostro organismo e del nostro cervello, e che la comunicazione tra i singoli costituenti è essenziale per la vita armonica del tutto. Il comportamento finale di un sistema complesso non è la semplice somma dei vari costituenti ma è il frutto della loro integrazione. 

Questo è ciò che si verifica nella totalità dei sistemi dinamici: è presente nella folla in una piazza, in una colonia di batteri, in uno stormo di uccelli, in una mandria di cavalli, in un assembramento di gruppi cellulari durante una flogosi ed in tutti i sistemi che aggregano unità. 

Se le interazioni tra i singoli componenti sono abbastanza forti, la rete è rigida, ordinata e non foriera di comportamenti evolutivi; possiamo immaginare, ad esempio, un ordinato e cadenzato esercito a passo dell’oca! Se invece le interazioni sono deboli il sistema tende alla dispersione e presenta un comportamento disorganizzato tra le singole unità per mancanza di retroazione: questo è il caso dell’armata di Franceschiello! Tra questi due comportamenti estremi esiste la possibilità di una struttura costituita da unità tra loro interagenti, che conferisce al sistema un comportamento plastico e adattabile, in modo da potersi repentinamente modificare in risposta a variazioni ambientali ed a situazioni evolutive. Ed è l’esercito vincente! 


E’ stato calcolato che un uomo di taglia media è formato da 75.000 miliardi di cellule e nessuno di noi è conscio di questo infinito universo: viviamo senza essere consapevoli di noi stessi! Se per un attimo riflettessimo di essere il risultato di milioni di milioni di cellule che svolgono funzioni le più disperate e che ognuna occupa uno spazio ben preciso e definito e tutte sono organizzate in gruppi e fanno parte di tessuti e di organi che ci permettono di vivere, dobbiamo ovviamente accettare che questa immensità di elementi ordinati spazialmente ed integrati funzionalmente, siano tra loro connessi da una fitta rete di relazioni e di informazioni. La cellula, il nodo di questa intricata e mirabile rete deve necessariamente ricevere informazioni dalle cellule progenitrici e, vivendo in questa mirabile e infinita comunità, scambiare informazioni e dialogare con le sue simili, ricevendo e, a sua volta, inviando messaggi. Ogni cellula vive e svolge le proprie funzioni in armonia con quelle simili, che costituiscono il tessuto o l’organo di cui fa parte ed è in armonia con quelle dell’intero organismo, ma solo dell’organismo sano e felice, in un equilibrio dinamico tra l’autorganizzazione e la criticità autorganizzata! 

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[1] Schopf J. William. “Microfossil of the Early Archean Apex Chert: New Evidence of the Antiquity of Life”. Science 260, 640-46, 1993

[2] Ricerca, presentata al Convegno della Società Americana di Chimica in corso a Washington, che sarà pubblicata sulla rivista Meteoritics and Planetary Science, nella quale si annuncia che l’amminoacido glicina è stato trovato nella polvere della cometa Wild-2 portata a Terra nel 2006 dalla sonda Stardust della Nasa. La glicina è il più semplice degli amminoacidi ma è alla base della maggior parte delle proteine e il coordinatore dello studio, Jamie Elsila del Goddard Space Flight Center della Nasa a Greenbelt, Maryland, ha spiegato che è in assoluto la prima volta che un amminoacido viene scoperto in una cometa e che questa scoperta rafforza la teoria secondo la quale gli ingredienti grezzi della vita sono arrivati sulla Terra dallo spazio.


[3] Jamie Elsila del Goddard Space Flight Center della Nasa a Greenbelt, Maryland


[4] Ricard Hoover Journal of Cosmology Marzo 2011


[5] Sandra Pizzarello e Coll. Abundant ammonia in primitive asteroids and the case for possible exobiology. PNAS published ahead of print Februaty 28, 2011, doi:10.1073/pnas.1014961108


[6] Eigen M., Schuster P. L’iperciclo: Un principio di autorganizzazione naturale. Ed. Pegaso. Rovigo. M. Eigen and P. Schuster, The Hypercycle: A Principle of Natural Self-Organization. Springer, Berlin 1979. M. Eigen, "Selforganization of Matter and the Evolution of Biological Macromolecules," Naturwissenschaften 58, 465-523,1971.


[7] Naturwissenschaften 58,10, pag.519, 1971


[8] Nel 1989 Thomas R. Cech e Sidney Altman vinsero il premio Nobel per la chimica per la scoperta della proprietà catalitica dell’RNA.


[9] Stanley Miller A Production of Amino Acids Under Possible Primitive Earth Conditions. Science, 117, 528-29, 1953. Questo esperimento fu condotto negli anni 50 da Stanley Miller e dal suo docente, il premio Nobel Harold Urey, per dimostrare la teoria di Oparin e Haldane i quali ipotizzavano che le condizioni della Terra primordiale avessero favorito reazioni chimiche conducenti alla formazione di composti organici a partire da componenti inorganiche


[10] Pioniere nel campo dell'evoluzione chimica e della cosmochimica è stato allievo di Melvin Calvin. Cosmochemistry and the Origin of Life, Nato Advanced Study Institute Series, 1983


[11] Sidney Walter Fox fu autore di circa 380 pubblicazioni e di 9 libri, il più importante dei quali è probabilmente Molecular Evolution and the Origin of Life, del 1977, scritto in collaborazione con K. Dose. Citato da Richard E. Dikerson e Geis Irving. In Chemestry, Matter and the Universe. Benjamin W.A. Inc. 1976


[12] Oparin Aleksandr Ivanovic è stato un biochimico e biologo russo considerato fra i maggiori esperti della teoria sull'origine della vita. L’origine della vita sulla terra: Boringhieri. Torino. 1967.


[13] Analoghe strutture pseudocellulari furono ottenute, alla fine degli anni Settanta, da Sidney Fox. Convinto, al contrario di Oparin, che la probabilità di formazione di macromolecole fosse maggiore sulla terraferma che in acqua, Fox partì da miscele di amminoacidi, che si presupponeva fossero presenti nel brodo primordiale, le pose su pezzi di lava riscaldati a temperature variabili tra i 75 e i 175 °C e ottenne dei proteinoidi, lunghe catene contenenti parecchie centinaia di amminoacidi. Immaginando un'azione di dilavamento delle lave primordiali su cui si fossero formati dei proteinoidi, Fox continuò la sua sperimentazione ponendo gli stessi in acqua. Ottenne in questo modo delle microsfere che chiamò protocellule.


[14] Inizialmente presso l’Istituto Weizmann ed ora alla Boston University. http:://PRELUDE.BU.EDU/


[15] Su Plos Computation Biology


[16] Giovanni Murtas e Pierluigi Luisi dell’Università La Sapienza di Roma.


[17] D. G. Gibson, J. I. Glass, C. Lartigue, V. N. Noskov, R.-Y. Chuang, M. A. Algire, G. A. Benders, M. G. Montague, Li Ma, M. M. Moodie, C. Merryman, S. Vashee, R. Krishnakumar, N. Assad-Garcia, C. Andrews-Pfannkoch, E. A. Denisova, L. Young, Z.-Q. Qi, T. H. Segall-Shapiro, C. H. Calvey, P. P. Parmar, C. A. Hutchison, III, H. O. Smith, J. C. Venter, Creation of a Bacterial Cell Controlled by a Chemically Synthesized Genome, Science DOI: 10.1126/science.1190719 (2010).


[18] Oro’ John Mechanism of syntesis of Adenine from Hydrogen Cyanide Under Fossile Primitive Earth Conditions. Nature 191, 1193-94, 1961


[19] Syntesis of activated pyrimidine ribonucleotides in prebiotically plausible conditions. Mattw W. Powder, Beatrice Gerrland and Jhon D. Sutherland. Nature News and Views 14 Marzo 2009


[20] Yoshihiro Fuokawa, Toshimori Sekine, Masahiro Oba, Takeshi Kakegawa e Hiromoto “Biomolecule formation by oceanic impacts on hearly Earth”. Nature Geoscience 62-66, 2, 2009


[21] Nielsen PE, Egholm M, Berg RH, Buchardt O. Science 254, 1497-1500, 1991


[22] I farmaci basati sul PNA potrebbero avere effetti terapeutici legandosi a specifiche sequenze di DNA o RNA, sopprimendo o promuovendo l'attività del gene corrispondente.


[23] Szostak J.W., Bartel D.P., and Luisi P.L.Synthetizing Life. Nature 409, 387-390, 2001


[24] Orgen L. E. “Prebiotic Chemestry and Origin of the RNA World”in Critical Reviews in Biochemistry and Molecular Biology 39, 99-123, 2004.


[25] Lao Tze (letteralmente “Vecchio Maestro”) filosofo cinese, figura centrale nel Taoismo. Laozi is revered as a god in most religious forms of Taoism. Taishang Laojun is a title for Laozi in the Taoist religion, which refers to him as "One of the Three Pure Ones


[26] La chimica era schematicamente divisa, ma è una sola! Tuttavia permane una certa differenza fondata sulla diversa e caratteristica reattività dei composti organici che si evidenzia con meccanismi di reazione del tutto peculiari.


[27] La temperatura del mantello oscilla tra i 1.500 ed i 3.000°C


[28] La crosta terrestre sotto gli oceani è spessa 10 Km, mentre sotto i continenti 70 Km

[29] Birger Rsmussen "Filamentous microfossils in a 3.235-million-year-old volcanogenic massive sulphide deposit" Nature 405, 676-679, 2000

[30] Huber, C. e Wächtershäuser G. Science 281, 670-672, 1998.

[31] Science Daily Dec. 4, 2002

[32] Inorganic Carbon Acquisition by the Hydrothermal Vent Tubeworm Riftia Pchyptila Depends upon High External P-  CO2 and upon Proton-Equivalent ion transport by worm. Goffredi S.K. e Coll. Journal of Experimental Biology 200, n.5, 1997

[33] Ciclo di Calvin.

[34] Addison Wesley Press 1996

[35]  “Gli estremofili”. Le Scienze 347, 78-85, giugno 1997

[36] Fiala G. and Stetter K.O. Archives of Microbiology 145, 56-61, 1986

[37] Alxander S. Bradley Le Scienze febbraio 2010, pag. 66

[38] Giora Proskurowski e Coll. Abiogenic Hydrocarbon Production at Lost City Hydrothermal Field. Science 319, 604-607,  2008

[39] Excess methane in continental Hydrotermal emissioni is abiogenic. J.Fiebig eand Coll. Geology 37, 498-98, 2009

[40] Alxander S. Bradley Le Scienze febbraio 2010, pag. 68

[41] Li-Hung Lin e Coll. Science 20 ottobre 2006

[42] J. William Scopf “La culla della Vita”Adelphi Ed.Milano 2003

[43] “Espandere i limiti della vita” di Alexander Bradley in Le scienze: 498, febbraio 2010


[44] Sul nostro pianeta vivono attualmente da dieci a cento milioni di specie animali e vegetali. Ogni anno scompaiono 27.000 specie. La Convenzione delle Nazioni Unite del 1992 di Rio de Janeiro ha l’obbiettivo di salvaguardare questo patrimonio dell’Umanità.


[45] Località "Schreiber Beach”.

[46] Cryptos = nascosto e zoon = vita; termine coniato dal geologo James Hall che le aveva giustamente considerate di derivazione biologica.

[47] J. William Schopf  “ Microfossils of the Early Archean Apex Chert: New Evidence of the Antiquity of Life” Science 260, 640-46, 1993

[48] Tessmar-Raible K., Arendt D.  e Coll. Conserved Sensory-Neurosecretory Cell Types in Annelid and Fish Forebrain: Insights into Hypothalamus  Evolution.  Cell, 129, 1389-1400,  2007

[49] Hui JH. Features of the ancestral bilaterian inferred from Platynereis dumerilii ParaHox genes. BMC Biol. 7, 43, 2009

[50] Dominic Papineau e Coll. della Carnegie Institution for Science in Journal of Astrobbiology. Maggio 2010

[51] Matthew Saltzman e Coll. “Pulse of Atmospheric oxygen during the last Cambrian” PNAS 108, (10) 3876-3881, 2011

[52] Beniamin C. Gill e Coll. “Geochemical evidence for widespread euxinia in the Later Cambrian ocean”. Nature 469, 80-83, 2011

[53] La sicura cronologia è determinata dal ritrovamento di numerosi fossili sotto una lastra di argilloscisto databile: si trattava dei primi reperti del famoso giacimento di Burgess. Questo giacimento, che ha chiarito l’evoluzione della vita, si trova in un ambiente maestoso a 2500 metri sul livello del mare sulle Montagne Rocciose, al confine orientale della Columbia Britannica, fu scoperto da Charles Doolittle Walcott, paleontologo americano, che in seguito divenne presidente della National Academy of Sciences.

[54] Scoprirono insieme a Maurice Wilkins la struttura della molecola del DNA  e  ricevettero il Premio Nobel per la medicina nel 1962.

[55] E' su Internet l'appuntamento storico con l'alfabeto della vita. Per la prima volta sono accessibili a tutti i dati relativi al patrimonio genetico dell'uomo, pubblicati nei siti delle due piu' note riviste scientifiche internazionali, Nature (www.nature.com) e Science (www.science.com). Mentre Nature pubblica i risultati ottenuti dal gruppo internazionale che ha lavorato al progetto Genoma Umano, Science pubblica invece i risultati ottenuti dalla Celera, l'azienda privata di Craig Venter che nella primavera scorsa ha annunciato per prima il sequenziamento del genoma umano. I risultati saranno presentati ufficialmente oggi in conferenze stampa a Washington e a Londra. La pubblicazione su carta avverra' invece giovedi' 15 febbraio per Nature e venerdi' 16 per Science.

[56] Philipa Uwins dell'Università di Queensland, in American Minerologist vol 83, 1998

[57] Il 49,6-diamidino-2 phenylindole (DAPI), l’ Arancio di Acridina e il Feulgen

[58] Meteorite ALH 84001 staccatosi da Marte 17 milioni di anni fa in seguito ad un impatto meteorico, che la ha proiettata nello spazio, facendola arrivare 13 milioni di anni fa sulla collina Antartica di Hallan Hill.

[59] Acronimo di "PRoteinaceus Infective ONly particle"=particella infettiva solamente proteica

[60] Biochimico e neurologo statunitense, vincitore del Premio Nobel per la medicina nel 1997.

[61] Wendel Stanley riuscì a cristallizzare il virus del tabacco nel 1935 e nel 1946 ricevette il premio nobel Nobel per la Medicina.

[62] L’assimilazione di sequenze geniche estranee nel genoma ospite é detta “endogenizzazione”. Circa l’8% dei geni del nostro DNA appartengono ad un’antica classe di retrovirus che hanno invaso il nostro genoma milioni di anni fa.

[63] DeFilippis V. and Villareal L.P. Lateral gene Transfer or viral colonization? Science 293, 1048, 2001

[64] Cedric Freschotte. Nature 463, 39-40, 7 gennaio, 2010

[65] Luria fu premiato col Premio Nobel per la medicina nel 1969. Fu allievo dell'istologo Giuseppe Levi e si laureò alla facoltà di medicina dell'Università degli Studi di Torino nel 1935. I suoi lavori pionieristici sui fagi hanno contribuito alla nascita della biologia molecolare.

[67] Chris Bowler ricercatore all’Ecole Normale Superieure di Parigi.

[68] ”On the Orgin of Species by means of Natural Selection on the preservation of favoured races in the struggle for life”. London . Jhon Murray, Albemarle Street. 1859; La pubblicazione dopo 23 anni di riflessioni dal ritorno del viaggio con il Beagle.

[69] Richard Awkins in “The Selfish Gene”. Second Edition. Oxford University Press 1989

[70] Nature 28 agosto 2009

[71] Hamilton W.D. and Lenton T.M. Ethology Ecology and Evolution 11, 3, 1999

[72] Dall’intervento di John Haynes “Program Manager” della Heart Science Division” della Nasa al Seminario Internazionale di Erice sulle emergenze planetarie (20-23 agosto 2009).

[73] William Spring – fisico dell’atmosfera a Tucson

[74] Chissà se erano considerati anche i mimi e mamavirus che normalmente vengono esclusi dal conteggio perché di grandezza pari ai batteri!

[75] Dale Griffin delUS Geological Survey”
.
[76] Nanopathology. Relazione della dottoressa Antonietta Gatti, responsabile del Laboratorio dei biomateriali presso il Dipartimento di neuroscienze dell'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. 27 febbraio 2006 - Dott.ssa Antonietta Gatti. Audizione tenuta il 18 maggio 2005 davanti alla commissione parlamentare di inchiesta presso il Senato della Repubblica. Il testo integrale è reperibile presso http://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/uranio/Stenografici/uranio-003d.pdf

[77] Queste nano-particelle sono talmente piccole che, se respirate o ingerite, passano ogni barriera del nostro organismo, sia polmonare che gastro-intestinale. Non essendo biocompatibili né biodegradabili, e se costituite da metalli, possono risultare cancerogene. Entrate nel corpo umano arrivano nelle gli organi dove si accumulano, anche nei linfonodi, dove sono state trovate, purtroppo quando avevano già provocato il linfoma tipico dei reduci dai Balcani.

[78] La Scola B., Avdic S., Robert C., Jungang L., de  Labelleriex., Drancourt M., Birtes R., Claverie J.M., Raoult D. « A Giant Virus in Amoebe » Science 299, 2033, 2003

[79] Xiao C., Kutznetsov Y.G., Sun S., Hafestein SL., Kostyuchenko VA, Chipman P.R., Susan-Monti M., Raoult D., Mc Pherson A., Rossmann M.G. Plos Biol.7, (4), 2008

[80] Rossmann M.G. e Coll PloS Biology 2009

[81] Si definisce Mimivirus un genere virale contenente una sola specie ad oggi identificata cui è stato attribuito il nome Acanthamoeba Polyphaga Mimivirus (APMV).

[82] Helen Person. “Virophage suggests viruses are alive” Nature 454, 677, 6 agosto 2009

[83] Sheree Y. , Riccardo Cavicchi e coll. “Virophage control of antartic algal host-virus dynamics” PNAS 2011; published of print Mrch 28, 2011, doi: 10.1073/pnas. 1018221108

[84] Publicato on line 28 March 2011 da Virginia Gewin/Nature/doi: 101038/news. 2011.188

[85] Dafne Arslan e Coll. “Distant Mimivirus relative with a larger genome highlists the fundamental features of Megaviridae”. PNAS 108 (42), 17486-17491, 2011

[86] In “La culla della vita” J.William Schopf. Biblioteca Scientifica 34 Adelphi Ed. SpA Milano 2003

[87] Tavola 4 (H) in “La culla della Vita. La scoperta dei più antichi fossili terrestri” J.William Schopf.      Adelphi 2003 S.p.A. Milano

[88] Leonardo Nieri. Storia naturale della cooperazione Cap. 3: Autoassemblaggio e eredità non genetica. 23.01.2009

[89] Non sono solo le reazioni chimiche a influenzare la quantità di materiale presente in un certo punto dello spazio, ma intervengono anche fenomeni di diffusione, ossia di scambio di materiale con le aree circostanti.

[90] Golbeter A. e Segel L.A. Unified Mechanism for Relay and Oscillation of Cyclic AMP in “Disctyostelium Discoideum” . Proc. Soc. Acad. Sci. USA 74, 1543-47, 1977

[91] “The slim model Dyctiostelium a model of Self-Organization in Cellular Social Systems. Garfinkel 1987. F Eugene Yates Ed. 1987 e “Self Organizyng Systems. The emergencre of Order”. Plenum Press New YorkLondon 1987

[92] Daniel J., Dickinson W., James Nelson and William I. Weis. “A Polarized Epitelium Organized by α-and β-catenin Predates Cadherin and Metazoan Origins”. Science 331, n6022, 1336-1339, 2011

[93] Debra A.Brock e Coll. “Primitive agricolture in a social amoeba”. Nature 469, 393-396, 2011

[94] Kalvin Kelly “Out of control” URRA Ed.

[95] Deborah Gordon in ”Ants at Work. How an Insect Society Is Organized”. Free Press. New York 1999 e  in “La nuova scienza dei sistemi emergenti. Dalle colonie di insetti al cervello umano. Dalle città ai videogame e all’economia. Dai movimenti di protesta ai network.”pag. 24. Garzanti Libri s.p.a. Milano 2004

[96] Bert Holldobler, Edward O. Wilson in Formiche. Storia di un’esplorazione scientifica. Adelphi Ed. 1997

[97] Edward O. Wilson, Bert Holldobler. Harvard University.  “The rise of the ants: A phylogenetic and ecologic   explanation”. P. N. A. S. 2005

[98] Babara Akum e Coll. Nature Neurosciences 2004,v.7,n2, 145-152

[99] Edelman G.M. Neural Darwinism: The theory of Neuronal Group Selection. Basic Books New York 1987

[100] Edelman G. M. Neuron 1993, 10, 115-25

[101] “Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano”. Gino e Michele, Molinari Matteo. Ed. Baldini e Castoldi Dalai.

[102] Ant death spiral

[103] Schneirla Theodore e Carl Rettenmeyer a pag 251 in Formiche. Storia di un’esplorazione scientifica. Bert Holldobler, Edward O. Wilson. Adelphi Ed. 1997

[104] Ted R. Schultz and Sean G. Brady “Major coeluzionary transizions in ant agriculture.”PNAS 105, 5435-5440, 2008

[105] William Hughes e i suoi colleghi di due Università della Danimarca e del Belgio

[106] A. Georg Cantor, matematico tedesco (1845-1918) si deve la prima definizione rigorosa di “insieme infinito” in  “De la puissance des essembles parfait de points”. Acta Matematca 2, 1884



















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