13 Universo: mitologia, storia e futuro.
Il termine Universo etimologicamente deriva da unus e vertere (uno e volgere = tutto insieme, tutto: il cosiddetto creato) e comunemente così è inteso: l’ambiente o gli ambienti, sia vicini che lontani, in cui ci è dato da vivere; dal punto di vista scientifico è l’insieme costituito dallo spazio-tempo e da tutta l’energia esistente sia in forma di materia che di radiazione elettromagnetica.
Il titolo “universo” è esatto, ma in parte è riduttivo: perché usualmente con tale termine si comprende l’Universo inteso come spazio siderale, l’universo di Einstein, quello lontano, astronomico, che racchiude in sé anche il concetto di tempo; esiste poi quello che ho definito “terra di mezzo”: quello della quotidianità ed inoltre quello più misterioso: l’universo del mondo atomico, dei quanti, dove la materia perde la sua materialità, trasformandosi e confondendosi con l’energia: un nuovo mondo nel nostro mondo.
Sono tre piani distinti, che si embricano dal punto di vita dimensionale e temporale e che io interpreto come piani dello spazio delle fasi: tre universi per molti versi distinti, ma unificati dalla identica rete strutturale matematica, che si esplicita anche nell’ambito dell’universo atomico dei quanti, dove le regole comunque si diversificano a tal punto per cui la realtà di quell’ambiente è per noi quasi inconcepibile.
Questo insieme, rappresentato da tre entità che si collegano l‘uno con l’altro, evidenzia aspetti difformi, ma tra loro convergenti: basti considerare che le regole del mondo dei quanti, inconcepibile per il senso comune, sono essenziali per comprendere il “fuoco” delle stelle e la loro origine e l’inizio di tutto l’insieme e per penetrare la realtà stessa che ci è data da vivere!
Questa complessa situazione universale pone noi della”terra di mezzo”, come su di un’isola da cui osserviamo le stelle da lontano e le galassie, noi che ci ergiamo centro dell’universo perché crediamo di essere riusciti a comprendere la loro nascita e quella dell’universo einsteniano con gli strumenti che nel tempo siamo riusciti a fabbricare utilizzando l’intricata rete di conoscenze che, passo dopo passo, siamo stati in grado, con costanti osservazioni e favoriti da semplici intuizioni, di sviluppare. Convinti erroneamente di rappresentare il centro dell’universo! Questa progressione culturale, iniziata cinque-seimila anni fa, utilizzando solamente i nostri occhi e le ombre prodotte dal sole, sono state il seme delle conoscenze, che nel tempo hanno costituito una rete sempre più fitta di connessioni e che, con l’aiuto di strumenti sempre più complessi, ci ha permesso di indagare la materia sino a dimostrare l’esistenza di un universo sconosciuto, quello atomico dei quanti: il mondo nel nostro mondo!
Ma iniziamo a descrivere la nostra “terra di mezzo” immergendoci nelle condizioni preistoriche e immedesimandoci nelle istintive meraviglie avvertite dai nostri primitivi antenati.
Di fronte al sorgere del sole, al mutare della luce, alla visione del cielo stellato, al variare della forma della luna, l’Uomo nella sua iniziale ed in seguito millenaria curiosità, ha tentato di dare una spiegazione all’origine del mondo per rispondere alle semplici domande :”Chi sono? Da dove veniamo? Chi soffia il vento? Dove dorme il sole?”
In tutte le società per rispondere a questi quesiti naturali ci si è rivolti alle persone anziane, ai saggi ed i racconti hanno in seguito dato origine alle narrazioni mitologiche, diverse a secondo dell’ambiente e delle culture; miti, che rappresentano il substrato e la necessità del respiro religioso, espressione di una curiosità evolutiva dell’uomo.
Nella mitologia nordica l’Universo ha avuto inizio dal momento in cui una gigantesca mucca leccando il sale dal bordo di una fossa ha fatto nascere gli dei.
Per gli Ainu, una delle etnie di pelle bianca più primitive del nostro pianeta, il mondo è nato sul dorso di una gigantesca trota. Questa popolazione di probabile origine caucasica è composta da venti-trentamila individui che abitano in capanne nell’isola di Hokkaido, la più settentrionale dell’arcipelago nipponico, ed è costituita da soggetti di statura minuta con capelli ondulati, occhi bruni non orientali. Questo popolo emarginato non conosce la scrittura e possiede un vocabolario di bisillabe palatali e dentali, che non supera le 1000 parole, non conosce i numeri, oltre quelli delle dita di una mano e come arma usa la clava per cacciare. Per loro il mondo rappresentato da un grande oceano adagiato su di una enorme trota, ha avuto origine da un atto creativo di Kamui. Secondo la tradizione le maree sarebbero causate da questo enorme pesce che di volta in volta succhia o spruzza l'acqua del mare e muovendosi causerebbe anche i terremoti.
L’universo e tutte le creature viventi per gli Indù sono nate dalla schiuma del burro chiarificato dal sacrificio di Purusha, dio dalle mille teste.
I Bantu consideravano la Terra all’inizio non altro che acqua e oscurità mentre Mbombo, il gigante bianco, governava questo caos; un giorno avvertì un fortissimo dolore allo stomaco e vomitò il sole, la luna e le stelle. Il sole, che splendeva perfidamente, fece evaporare l'acqua e gradualmente apparvero le colline asciutte. Mbombo vomitò nuovamente e questa volta furono originati gli alberi, gli animali, e gli stessi esseri umani: la prima donna, poi il leopardo, l'aquila, l'incudine, la scimmia Fumu, il primo uomo, il firmamento e la luce.
Nel mito giapponese la terra ha avuto invece inizio dall’incestuoso amplesso dei due fratelli Izanaghi e Izanami, che agitarono l’oceano con una lancia per creare una piccola isola di sale, che rappresentò la loro primitiva dimora.
Secondo la mitologia cinese esistono diverse storie, la più conosciuta è quella dei monaci Taoisti, che racconta dell'universo nato da un uovo cosmico. Pangu, la divinità, nascendo da quell'uovo lo ruppe in due parti: la superiore divenne il cielo e quella inferiore la terra. Man mano che la divinità crebbe, le due parti dell'uovo si separarono sempre di più e, quando Pangu morì, le parti del suo corpo dettero origine ai diversi territori.
Per gli Apaches all’inizio esisteva solo il niente. Dal buio improvvisamente emerse, sospeso a mezz'aria, un disco sottile, giallo da un lato e bianco dall'altro. All'interno sedeva un piccolo uomo barbuto: "Colui che vive al di sopra”. Quando, il Creatore, guardò nel buio infinito, apparve in alto la luce, guardando verso il basso si formò il mare; ad est, creò le strisce gialle dell'alba e ad ovest le nubi, tinte di diversi colori. In seguito creò anche tre altri dei: una piccola ragazza, il Dio Sole e un piccolo ragazzo. Poi i fenomeni celesti, i venti, la tarantola e la terra, in forma di una pallina marrone, non più grande di un fagiolo e, dal sudore dei quattro Dei mescolato nelle mani del Creatore, il mondo fu prima preso a calci, poi con l’aiuto del Vento, espanso fino alla sua forma attuale. C’è anche un personaggio imbroglione del mito, la tarantola, che tessuto un filo nero, attaccato alla sfera, scappò ad est tirandosi dietro il filo con tutta la sua forza. La Tarantola ripeté questa operazione con un filo blu, tirando verso sud, con un filo giallo verso l'ovest e con un filo bianco verso il nord; con strattoni in ogni direzione, la sfera si allargò fino ad una grandezza non misurabile e diventò la Terra! Non c'erano colline, montagne o fiumi, ma solo pianure soffici e prive di alberi. Allora il Creatore creò il resto degli esseri e delle bellezze del mondo!
Ma a parte i miti che sono tanti, cosa sappiamo del nostro Universo, o almeno cosa dovremmo sapere? Tralasciando l’astrologia, che soddisfa chi vuol conoscere il futuro e non soddisfa chi credeva di aver potuto conoscere il futuro.
Il sole, la luna e le stelle cosa ci hanno insegnato? Cosa l’Uomo ha compreso guardando il cielo? L’Astronomia è certamente la più antica tra tutte le scienze e ci ha insegnato molto. L’orologio cosmico ha fornito le previsioni del ciclico ritorno delle stagioni per le semine ed i raccolti, e, successivamente, per elaborare i calendari o per misurare oggettivamente il fluire del tempo.
Seimila anni fa, all’epoca dei faraoni, si sapeva che l’anno era formato come il nostro: da 265 giorni, suddiviso in dodici mesi di trenta giorni a cui si aggiungevano cinque giorni supplementari, del tutto simile al nostro, solo che il loro capodanno era fissato dal sorgere della stella Sirio, che coincideva con l’inizio della piena del Nilo, dispensatore di fertilità con la sua annuale inondazione.
E’ stata la Grecia, culla della civiltà occidentale ha dare i natali ai primi veri astronomi che, pur privi di strumenti ottici e di misurazione, sono riusciti a chiarire i fondamenti dell’Astronomia, certamente la più antica tra le scienze.
Talete di Mileto nel 624 a.C. fu forse il primo ad intuire che la terra fosse una sfera, ma i suoi scritti originali andarono perduti.
La diversità del cielo stellato dell’Egitto rispetto a quello delle regioni più meridionali fu notata da Aristotele [1] che si rese conto che le stelle sembravano cambiare d’altezza sull’orizzonte a secondo della latitudine dell’osservatore; inoltre notò che durante l’eclissi di luna il margine dell’ombra proiettata sul satellite era curvo.
Eratostene di Cirene, bibliotecario della famosa biblioteca di Alessandria apprese da uno dei libri custoditi che a Sione (l’attuale Assuan) durante il solstizio estivo, giorno più lungo dell’anno, il sole allo zenit illuminava il fondo dei pozzi, mentre ad Alessandria, più a nord, il sole appariva spostato di sette gradi dalla verticale; poiché il cerchio è composto da 360° gradi e la differenza riscontrata di sette gradi rappresenta 1/50 di 360, la distanza Sione-Alessandria sarà pari ad un cinquantesimo della circonferenza terrestre che risultò di 39.400 chilometri: i suoi calcoli furono errati di soli 600 chilometri!
Il più importante astronomo dell’antichità fu certamente Aristarco da Samo [2] che non solo propose la teoria eliocentrica, ma calcolò con una relativa approssimazione la distanza terra-sole e terra-luna la tangente trigonometrica di un angolo; l'opera di Aristarco può pertanto essere considerata una delle prime opere di trigonometria! Purtroppo le sue idee erano troppo rivoluzionarie e non vennero accettate perché erano in contrasto con i concetti della fisica aristotelica. Le sue idee e le sue dimostrazioni ebbero il sopravvento dopo duemila anni ad opera di Copernico [3]!
Ipparco di Nicea (di Rodi) (ca. 190 - 120 a.C.) è da considerare il più grande astronomo dell'antichità, padre dell'Astronomia scientifica. Non volle accettare le precedenti osservazioni degli astronomi egiziani che giudicò inesatte, ma allestì un nuovo catalogo stellare in modo da permettere ai posteri di poter osservare le trasformazioni del cielo stellato e fu proprio durante questo studio che si rese conto che le stelle avevano mutato il loro posto rispetto all'equatore pur avendo conservato la stessa latitudine sopra l'eclittica; questo fenomeno permise ad Ipparco di scoprire la precessione degli equinozi [4] e l'eccentricità delle orbite permettendogli di prevedere le ecclissi lunari con un margine di poche ore.
Tre secoli dopo Ipparco, periodo nel quale venne definitivamente dimenticata la sua teoria eliocentrica, Claudio Tolomeo (100 - 178 d.C. ca.) divenne un importante punto di riferimento per tutta la cultura scientifica con il suo “Almagesto” [5], opera più influente dell'antichità, nella quale erano raccolte le conoscenze astronomiche del mondo greco. Fu Tolomeo, che formulò il modello geocentrico, che da lui prenderà il nome di tolemaico e che rimase riferimento per tutto il mondo occidentale, arabo ed indiano, fino a che non fu sostituito dal sistema eliocentrico di Copernico.
Quando la supremazia culturale della Grecia si dissolse, il progresso dell'astronomia si arenò ed il colpo di grazia fu determinato dal saccheggio e dall’incendio della maestosa biblioteca di Alessandria nel 640 d.C.; l’ordine di dare tutto alle fiamme fu dato dal califfo arabo Omar che gridò all’Emiro Ibn al-As, esecutore dello scempio: «Se il contenuto dei libri si accorda con il libro di Allah, noi possiamo farne a meno, dal momento che il libro di Allah è più che sufficiente. Se invece contengono qualcosa di difforme, non c' è alcun bisogno di conservarli. Procedi e distruggili». Per più di mille anni il silenzio calò sui cieli e quando l'interesse per le stelle ricominciò, il ritorno avvenne non tramite l'astronomia, che è una scienza esatta, ma tramite l’astrologia, che rappresentava il retaggio del passato e che esprimeva l’ignoranza e l’influsso superstizioso della buia notte stellare. Per tutti quegli anni l'astronomia fu inesistente e soggiogata dalla cieca fiducia al sistema tolemaico; fino a quando gli uomini considerarono la terra centro dell’universo, nessun vero progresso poteva essere percorso e compiuto. La situazione inoltre era resa difficile per l'atteggiamento della chiesa, che a quei tempi era onnipresente ed onnipotente e qualsiasi critica ad Aristotele veniva considerata un'eresia, tanto che la fine riservata agli eretici era generalmente di venire arsi sul rogo! Ecco come il potere della Chiesa seguiva gli insegnamenti di Gesù. Del resto la fine di Ippazia [6] rappresenta un ulteriore esempio di carità cristiana!
Nel 1530 il canonico polacco Niccolò Copernico, considerando irragionevole che le stelle compissero ogni giorno una rivoluzione attorno alla terra, abbandonò la visione geocentrica tolemaica e pose il sole come centro del sistema planetario, in tal modo “declassando” la nostra terra ad un semplice pianeta. Scrisse il “De Revolutionibus Orbium Coelestium”, che prudentemente fu pubblicato tre anni dopo la sua morte nel 1546. Quel testo rappresentò una miccia e produsse dibattiti e sanguinose dispute, che culminarono con il rogo del filosofo Giordano Bruno, frate domenicano, condannato dall’Inquisizione cattolica per eresia! La terra doveva essere il centro dell’Universo [7]! Era infatti un dogma da rispettare!
Dopo qualche anno in Danimarca, Tycho Brahe, appartenente ad una nobile e ricca famiglia, figlio del governatore del castello di Helsingborg, benché fervido credente nell'astrologia, iniziò ad occuparsi di astronomia e si rese conto che il progresso di questa scienza poteva essere ottenuto solamente con una rigorosa e sistematica osservazione del cielo, notte dopo notte, usando strumenti, che fossero i più precisi possibili. Nel novembre del 1572 osservò l’improvvisa comparsa di una stella molto luminosa nella costellazione di Cassiopea e l’anno successivo pubblicò un piccolo libro: De Stella Nova, coniando il termine “nova” per una nuova stella, che oggi sappiamo essere una supernova e rappresentare la scoperta decisiva non solo per intraprendere come professione l'astronomia, ma per le conseguenze storiche che l’evento ha rappresentato.
Il re Federico II, protettore delle arti e delle scienze, temendo che la Danimarca perdesse un personaggio ormai famoso, gli fece un dono favoloso: gli conferì l'isola danese di Hveen con tutte le rendite derivanti dal suo possesso e si impegnò a costruirgli un osservatorio a spese dello stato. Fu costruito il palazzo-osservatorio di Uraniborg, dove per vent’anni, tra il 1576 e il 1596, Tycho eseguì migliaia di accurate osservazioni sulla posizione di stelle e pianeti, al fine di redigere un catalogo più completo di quello di Tolomeo, che sino ad allora era conosciuto. Nel 1601 l’astronomo morì lasciando tutti i dati delle sue minuziose osservazioni al suo assistente Giovanni Keplero, giovane matematico tedesco, fervente copernichiano, che qualche anno prima aveva pubblicato Mysterium Cosmographicum, un'opera giovanile nella quale dimostrava il suo profondo acume aritmetico nel considerare le sei orbite planetarie; l’opera lo rese famoso e gli procurò l'amicizia di Tycho Brahe, allora matematico della corte imperiale di Praga, che gli offrì un posto come suo assistente, incaricandogli di rifare il calcolo dell'orbita di Marte, ma i rapporti con il datore di lavoro non erano certamente facili per Keplero dal punto di vista umano poiché, come egli stesso raccontava, il suo “direttore” era un uomo pieno di vanagloria e di discutibile educazione [8] e con il quale non si poteva vivere senza esporsi ai più malevoli insulti.
Dopo la morte di Tycho avvenuta nel 1601, Keplero fu nominato dall’imperatore Rodolfo II matematico di corte e in questa veste gli fece continuare lo studio delle orbite planetarie, non spiegabili né col moto circolare attorno alla terra, né con quello attorno al sole; il che faceva pensare che ci fosse qualcosa di sbagliato sia nel sistema di Copernico che in quello di Tolomeo. Dopo anni di attenti esercizi, Keplero finalmente trovò la risposta: i pianeti ruotavano sì attorno al sole, ma non con percorsi perfettamente circolari, ma con orbite ellittiche. Arrivò pertanto a definire le tre leggi di Keplero, che rappresentano un modello descrittivo del moto dei pianeti del sistema solare: innanzitutto la prima definisce che i pianeti percorrono orbite ellittiche, di cui il Sole occupa uno dei fuochi. La seconda spiega che la velocità di ciascun pianeta lungo la sua orbita non è uniforme, ma cambia a seconda della sua posizione: il pianeta sarà più veloce nei pressi del perielio [9] e più lento nei pressi dell'afelio [10].
Precisamente, il raggio vettore che unisce il pianeta al sole, percorrerà aree uguali in tempi uguali.
La terza legge infine stabilisce la relazione tra le dimensioni delle orbite e i periodi di rivoluzione dei pianeti e cioè che i quadrati dei periodi di rivoluzione sono proporzionali ai cubi delle distanze.
Le tre leggi sul moto planetario di Keplero, l'ultima delle quali fu pubblicata nel 1618, spianarono la strada per le successive ricerche a Sir Isaac Newton e possiamo concludere e definire che Keplero scoprì come i pianeti si muovono e Isaak Newton scoprì il perché del moto dei pianeti: la legge di gravitazione universale.
E‘ indubbio: sentiamo le stelle vicine al nostro animo perché i nostri occhi rappresentano lo specchio dell’animo e sono il tramite per conoscerle. Ciononostante sin dai primordi delle civiltà gli uomini si sono serviti di strumenti per orientarsi: delle pietre per indirizzare il loro cammino o indicare la sepoltura dei loro defunti o ancora per individuare il punto sull’orizzonte del nascere del sole o delle stelle. Lo stesso significato rivestono i Menhir [11] monoliti solitamente eretti nel neolitico e dislocati in migliaia di siti; queste “pietre lunghe” potevano raggiungere anche più di venti metri di altezza ed erano erette singolarmente o allineate in gruppi, alcune con accanto i Dolmen formati da piastre piatte disposte in verticale e sormontate da una lastra orizzontale. L'Europa è piena di questi monumenti. Il sito dei Menhir più famoso del nostro continente è certamente a Carnac, non a torto definita la capitale della preistoria [12]. Gli archeoastronomi ritengono, con molta probabilità, che non ci sia stato un solo centro da cui si sia diffusa la cultura megalitica, ma ve ne siano stati numerosi, indipendenti tra loro. A dimostrazione che la necessità ad orientarsi e di “guardar le stelle” è connaturata nelle diverse culture ed etnie; in Corea sulla lastra di un dolmen sono stati rinvenuti dei fori a coppa [13] raffiguranti la costellazione dell’Orsa maggiore e quella del Sagittario.
E dalla preistoria iniziamo a considerare le opere architettoniche più spettacolari dell’antichità, ad esempio: la piramide di Cheope, che é allineata perfettamente con le stelle di Orione ed un suo cunicolo era rivolto al polo nord verso la stella Thuban della costellazione del Drago e non verso la stella polare a causa del diverso orientamento dell’asse terrestre, che durante i cinquemila anni da allora si è spostato; inoltre moltiplicando la sua altezza (ossia m. 149,40) per un miliardo, troviamo esattamente il valore della distanza della Terra dal Sole (149 milioni e 400 mila chilometri), ed egualmente possiamo rimanere sbalorditi considerando che il rapporto fra il semiperimetro della base della piramide (232 x 2 = 464) e la sua altezza (149,40), dà precisamente 3,1, ossia il valore del π, con un solo decimale, rapporto tra circonferenza e diametro del cerchio, conosciuto tremila anni prima che Archimede lo determinasse compiutamente con due decimali!
Il più antico strumento astronomico col quale fu possibile localizzare o predire la posizione del Sole, della Luna, dei pianeti e delle stelle fu l’astrolabio, introdotto nel II secolo a.C. nella Grecia antica, e, per molti secoli, fu anche il principale strumento di aiuto per la navigazione fino all'invenzione del sestante.
Spesso abbiamo una concezione superficiale e non veritiera del mondo antico; pensando all’affascinante mondo delle piramidi dell’antico Egitto immaginiamo stuoli di schiavi costretti a trascinare imponenti massi di granito squadrati a regola d’arte da migliaia e migliaia di martellate e di frustate! E non consideriamo gli studi, anche astronomici, che rappresentarono il presupposto di quelle opere imponenti. Se immaginiamo poi l’impero romano, come in un film, ci balzano agli occhi le legioni romane mentre attraversano pianure, fiumi e montagne calpestando le strade lastricate e solcate dai carri carichi di vettovaglie; strade e ponti, che ancor oggi, da più di duemila anni, testimoniano la perizia di quei provetti costruttori, artefici di quella rete viaria, che è stata l’elemento cardine della potenza militare e politica dell’antica Roma e dell’Impero. I greci li immaginiamo intenti a discutere di filosofia nell’”agorà” e di dialogare di politica. Tutti mondi meravigliosi che ci affascinano e che rappresentano i pilastri della nostra civiltà; e non immaginiamo neppure lontanamente che queste attività erano intrise di cultura: matematica, geometrica e di tecnologia e che furono rese possibili soprattutto per il lavoro degli schiavi, che rappresentato il reale motore dell’antichità, assieme al lavoro del fedele cavallo! Folla di umili formiche che ha consentito, anche ai “democratici” ateniesi ad avere il tempo per discutere di democrazia! Il mondo, anche quello attuale supertecnologico è cambiato, ma ricorda pesantemente quelle vecchie consuetudini: è notorio che tanti illustri clinici delle facoltà mediche hanno potuto far carriera grazie a studi altrui e senza aver fatto mai turni di guardia negli ospedali e raramente visitato qualche sfortunato ammalato!
Anche Carl Marx, ancora da alcuni idolatrato, icona della rivoluzione proletaria e della finta democrazia, che ha entusiasmato per due secoli i popoli del mondo provocando milioni e milioni di morti, proprio lui, l’artefice dell’abolizione dello sfruttamento dell’individuo, rispondendo all’amico Enghels, suo patrono finanziario, gli scrisse che avrebbe avuto bisogno come minimo “at the last”di due domestiche: di una cuoca e di una donna per pulire la casa [14]. Non gli sarebbe stato possibile scrivere “Il Capitale” senza le due domestiche. Mi viene a mente una frase che è supportata dalla stessa verità: “Dietro un grande uomo, c’è sempre una grande donna! E dietro una grande donna c’è sempre una valida colf”!
Ma torniamo allo sviluppo tecnologico dell’antichità: nella primavera del 1900 una nave di pescatori greci di spugne si imbatté in una violenta tempesta e il capitano - tale Demetrios Condos – esperto dell’infido mare di quelle parti, cercò rifugio in acque più tranquille a nord dell’isola di Antikythera. La violenta tempesta continuò a sconvolgere il mare per settimane e la ciurma iniziò a dar segno di rivolta, per cui il capitano Condos permise all’equipaggio di cercare le spugne nei pressi dell’isola. Un certo Elias. abile nuotatore, si immerse a 42 metri di profondità, restando attaccato ad una corda con la quale poteva essere tirato in superficie in caso di pericolo, la strattonò, e fu tirato in superficie in evidente stato di confusione, non per lo stordimento dovuto alla profondità, ma per aver avvistato sul fondale un antico veliero. Il materiale che il relitto conteneva fu poi recuperato e custodito nel museo nazionale di Atene, ove iniziò una lenta e laboriosa opera di catalogazione dei reperti. L’archeologo Valerios Stais fu attirato da un ammasso di metallo amalgamato ad incrostazioni calcaree, frutto della permanenza per due millenni nella profondità del mare e, di primo acchito, meravigliandosi, pensò ad un orologio, perché quella scatola conteneva ruote dentate simili ad ingranaggi. I frammenti erano di rame, fortemente corrosi, ma egualmente si riuscì a riordinarli e ad interpretare le iscrizioni a mala pena leggibili. Quelle ricerche appurarono che quei pezzi di metallo facevano parte di un congegno a orologeria, che riproduceva, con complicati meccanismi, il moto dei pianeti attorno al Sole e anche le fasi della Luna.
Oggi sappiamo che le nozioni di Astronomia in quell’epoca erano atte a poter descrivere i moti dei pianeti attorno al Sole, piuttosto che attorno alla Terra. Gli ingranaggi includono infatti una ventina di ruote dentate, che hanno la funzione di riprodurre il rapporto 254:19 necessario per ricostruire il moto della Luna in rapporto al Sole (la Luna compie 254 rivoluzioni siderali, una ogni 19 anni solari). Includono anche un differenziale, cioè un meccanismo che permette di ottenere una rotazione di velocità pari alla differenza di due rotazioni e che è stato concepito e costruito in tempi moderni solo nel XVII secolo, quando il meccanismo fu introdotto negli orologi meccanici!
Il primo studioso a tentare di ricostruire la struttura originale del meccanismo, partendo dai frammenti ripescati, fu, negli anni Cinquanta e Sessanta, lo statunitense Derek de Solla Price. Aiutandosi con radiografie, sia per distinguere la dentellatura degli ingranaggi, che per decifrare le iscrizioni, Price concluse che si trattava di un calendario astronomico con due quadranti, uno sul frontale ed uno sul retro, dedicati ai movimenti rispettivamente del Sole e della Luna.
Ora, recentemente un gruppo multidisciplinare di ricercatori britannici, greci e statunitensi, guidati da Tony Freeth dell'Università di Cardiff, ha rimesso sotto la lente i frammenti, usando la tomografia computerizzata e le rielaborazioni digitali ad alta risoluzione della superficie: tecnologie all’avanguardia rispetto a quelle utilizzate in precedenza da Price; e la caratteristica più sorprendente rivelata dal nuovo studio è un sistema di due ingranaggi sovrapposti, leggermente sfasati, che servivano a riprodurre il movimento quasi sinusoidale del moto della Luna. Una realizzazione meccanica del modello matematico dell'orbita della Luna sviluppato da Ipparco di Rodi nel secondo secolo a.C., tanto da indurre addirittura gli autori ad ipotizzare un coinvolgimento dello stesso Ipparco nell’allestimento dell'ingegnoso meccanismo.
Dobbiamo considerare infatti che la civiltà greca in quel periodo non era quella del periodo classico, che noi comunemente immaginiamo. Infatti secondo una recente teoria di Russo (del 1996) sia le nozioni scientifiche che le capacità tecnologiche erano allora estremamente sviluppate e molto più di quelle dei Romani, che invece pur prevalendo sul piano militare non assimilarono la diversa mentalità che aveva originato un così significativo avanzamento culturale e tecnologico. L'epoca romana infatti fu caratterizzata da una complessiva decadenza scientifica e tecnologica, anche se dal punto di vista edilizio ed ingegneristico eccellevano, forse perché aiutati dai “liberi” greci, che venivano idoneamente sfruttati. La cultura greca invece era all’avanguardia soprattutto in campo astronomico per quel che riguarda il moto dei pianeti attorno al Sole, basti ricordare che già Aristarco di Samo, nel III secolo a.C., aveva sviluppato la teoria eliocentrica dimenticata poi per millenni per colpa di Aristotele. Il ritrovamento del Meccanismo di Anticitera é quindi una prova certa dell'evoluzione scientifica e tecnologica del mondo antico.
Per misurare l'angolo di elevazione di un oggetto celeste al di sopra dell'orizzonte il sestante ha rappresentato lo strumento essenziale per la navigazione ed ovviamente è stato utilizzato in campo astronomico. Ed anche di questo caso ci sono documenti che nell’antico Egitto fosse già stato utilizzato! All'interno di una piramide egizia, in un documento rinvenuto dal Barone Amedeo, di Benedetto, di Giovan Maria di Reda, è detto che già gli Egizi utilizzavano un prototipo del sestante [15] per orientarsi nel deserto. Il mondo antico non smette mai di meravigliarci!
Analoga storia è quella dello strumento medievale: il torquetum costruito nel XIII secolo per rilevare e convertire le misurazioni delle tre coordinate: orizzontale, equatoriale ed ellittica, ma simile ad uno strumento descritto da Tolomeo.
L’importanza di qualsiasi scoperta sussiste solo se questa determina informazione. In caso contrario il nodo della rete conoscitiva rimane bloccato, muto, sepolto tra le pietre, affondato nei mari o nella sabbia, confuso tra i papiri non letti e di conseguenza non produce alcun effetto
Diversa invece è la storia del cannocchiale: nel 1608 un fabbricante di occhiali di Middleburg in Olanda, Hans Lipperheim, scoprì, che sistemando due lenti in una certa maniera si potevano ottenere immagini ingrandite di oggetti distanti; la notizia dilagò in Europa, e giunse alle orecchie di Galileo Galilei, professore di matematica dell'Università di Pisa, che comprese immediatamente il valore che il telescopio poteva significare per lo studio dell’astronomia. Quel piccolo oggetto, paragonabile a un cannocchiale tascabile permise di ottenere le prime immagini della luna, dei pianeti, dei satelliti di Giove e di risolvere la “via lattea” in una miriade di stelle. La verità dei fatti e della scienza rappresentarono il punto critico di una transizione di fase non ancor oggi compiutamente completata a causa della chiesa cattolica. Galileo appariva come un eretico pericoloso; venne arrestato, imprigionato, e processato e poi costretto a "maledire, abiurare ed odiare" la falsa teoria, cioè che la terra si muoveva attorno al sole! Dal tempo di Aristarco da Samo, il primo misuratore delle distanze astrali, la distanza tra la terra ed il sole venne misurata con sufficiente precisione, e nel 1675 l'astronomo danese Ole Roemer misurò perfino la velocità della luce, che risultò di 300.000 km. al secondo. Roemer fece questa scoperta casualmente, osservando i movimenti delle quattro grandi lune di Giove. Nel 1672 Roemer recatosi a Parigi continuò ad osservare i satelliti di Giove come assistente di Cassini. Unendo le proprie osservazioni, si accorse che i tempi tra le eclissi (in particolare di Io) diventavano più brevi quando la Terra si avvicinava a Giove e più lunghi quando la Terra si allontanava. Questa scoperta è riportata su di una targa all'osservatorio di Parigi, dove l'astronomo danese lavorava, e commemora quella che fu, in effetti, la prima misura di una quantità universale sul nostro pianeta: la velocità della luce.
Nel 1833 il filosofo francese August Compte [16] in “Corse de Philosophie positive” scrisse precisamente: “Possiamo limitare la nostra conoscenza solo ai fenomeni geometrici e meccanici delle stelle” e improvvidamente aggiunse che non saremmo stati capaci in alcun modo di studiare la composizione delle stelle! Invece lo studio minuzioso e preciso dello spettro luminoso delle stelle con i codici a barre di Joseph von Fraunhofer [17], ci fece conoscere di quali sostanze sono costituite, qual’é la loro luminosità, temperatura, colore, dimensioni e pressione: in definitiva le caratteristiche presenti, quelle del passato e la loro evoluzione.
Queste righe dello spettro luminoso, composte da una serie di sottili strisce a diversa lunghezza d’onda, furono scoperte nel 1802 dal fisico inglese William Wollaston [18] facendo passare un raggio di luce attraverso una sottile fessura. Inizialmente il Wollaston ne individuò sette; in seguito il fisico tedesco Joseph von Fraunhofer ne catalogò 575; queste Linee (dette di Fraunhofer) rappresentano l’impronta, che origina dalla natura chimica delle sostanze, un vero e proprio codice a barre. Fu in seguito il gesuita padre Angelo Secchi direttore dell’Osservatorio Vaticano il fondatore della spettroscopia astronomica. Attualmente con i moderni spettroscopi sono state individuate circa diecimila. Il codice a barre di un elemento non consiste solamente nella larghezza delle righe, ma anche dalla loro posizione nello spettro; il codice di tutti gli elementi che sono stati individuati sono chiariti e vengono descritti dalla teoria dei quanti. Per noi è inconcepibile la teoria del mondo dei quanti perché contrasta con la nostra logica inserita nella realtà macroscopica della terra di mezzo e plasmata dalla selezione naturale a comprendere il mondo che ci circonda (e non tutti purtroppo ci riescono!); la nostra logica non include gli effetti quantistici, pur essendo essenziali e connaturati nella nostra realtà macroscopica. Questa contraddizione fu ben espressa da Richard Feyneman [19]che dichiarò:”Se credete di aver capito la teoria dei quanti vuol dire che non l’avete capita”! Ciononostante siamo riusciti a trasferire nel nostro mondo con un «risonatore micromeccanico» una serie di vibrazioni quantistiche con quantità prefissate di energia. Abbiamo trasaferito la meccanica dei quanti alla nostra realtà, facendo vibrare una barretta di grafite, simile ad un capello per 6 miliardesimi di secondo! [20] Ed é solo l’inizio di un futuro già incominciato!
Nel 1609 Galileo Galilei con l’uso del cannocchiale ha spalancato la finestra della conoscenza dei cieli ed ha sancito la nascita dell’astronomia intesa come scienza moderna.
In precedenza l’osservazione diretta aveva messo in risalto l’immobilità delle stelle, che brillano nella notte e durante l’anno si spostano come appartenessero ad una buia sfera, ed i pianeti, quegli astri con luce continua e mobili nelle notti, individuati sin dall’antichità: il veloce Mercurio, raffigurato non per nulla con le ali ai piedi, visibile solo all’alba ed al tramonto, la splendente Venere, dea dell’amore, splendida nella notte, che supera di poco la luminosità di Giove, poi il rosso Marte, sanguigno dio della guerra, unico tra i pianeti che sembra ritornare a volte sui suoi passi invertendo il senso di moto sulla sua orbita: questa è la verità di un osservatore terrestre. Ma la realtà è diversa: il moto di Marte non rallenta, né si inverte: la verità dell’osservatore terrestre deriva semplicemente, da un gioco di prospettive, dal fatto che Marte percorrendo un’orbita esterna a quella della terra è meno veloce e quando la terra lo sta per superare: durante la fase iniziale il pianeta rosso sembra inizialmente rallentare per poi invertire il senso di marcia ed alla fine del sorpasso riprendere la giusta via. Questa una prova di come fidandoci solo dei nostri occhi possiamo sbagliare. Questo strano fenomeno attirò l’attenzione di Tycho Brahe, che con precisione documentò i dati osservati, permettendo poi a Keplero di risolvere matematicamente il problema [21]. Da queste poche righe possiamo dedurre due verità: la prima che la realtà non è solo ciò che vediamo; la seconda che alla verità si può giungere considerando l’insieme delle conoscenze con lo studio e la ricerca. Ogni fenomeno è ciò che si manifesta, ma la manifestazione può essere ambigua.
All’epoca di Galileo l’universo conosciuto comprendeva sostanzialmente solo il sistema solare. L’inizio dell’uso del telescopio rivoluzionò realmente l’astronomia: iniziando dalla scoperta dei quattro satelliti medicei di Giove: Io, Callisto, Europa e Ganimede; poi il “gobbo o panciuto” Saturno apparentemente schiacciato a causa della scarsa risoluzione dello strumento ottico che non risolveva le parti laterali del pianeta dagli anelli.
Quando, dopo due secoli, nell’Ottocento i telescopi divennero più potenti e si iniziò a calcolare le prime distanze siderali e vi fu l’introduzione dell’utilizzo delle linee di Fraunhofer per individuare la composizione chimica delle stelle, ancora fino all’inizio del Novecento prevaleva il modello che l’universo fosse limitato alla nostra galassia. Solo quando i telescopi raddoppiarono il loro diametro arrivando a due metri e mezzo, si scoprì l’esistenza di altre galassie ed i confini dell’universo conosciuto si dilatarono a dismisura. Oggi sappiamo che esistono circa cento miliardi di galassie e si prospetta l’esistenza teorica di un numero sterminato di universi [22]!
Attualmente la nascita, l’evoluzione e la morte delle stelle, sorgenti di luce, calore ed energia, sono state chiarite; ora conosciamo che la loro formazione è il risultato dell’incredibile forza gravitazionale delle loro masse, che comprimendo gli atomi di idrogeno riescono ad innescare la fusione nucleare e la sintesi di elio. Il calore prodotto controbilancia la forza gravitazionale degli strati superiori sino a quando, dopo milioni di anni, consumato il combustibile idrogeno e consumato anche l’elio, inizia la produzione di carbonio, che è in grado di bloccare il collasso del nucleo stellare. Le stelle con le dimensioni del nostro sole si trasformano in nane bianche, grandi quanto la terra, ma estremamente dense e capaci di attirare materiale da una stella vicina [23], la stella compagna, innescando nuovamente la fusione termonucleare che continua sino alla sua completa disintegrazione dando vita – si fa per dire – alla morte stellare, cioé alla formazione di una supernova di tipo IA, l’equivalente dell’estremo anelito vitale, che si concretizza con la sua esplosione della durata di qualche mese: un attimo in confronto ai milioni di anni “vissuti”, e con un luminosità inaudita, superiore a quella dell’intera galassia a cui appartiene! Un evento simile fu osservato nel novembre del 1572 da Tycho Brahe ed erroneamente considerato come la nascita di una nuova stella; l’anno successivo, “l’ultimo astronomo senza cannocchiale” pubblicò un piccolo libro: il “De Stella Nova”, libro di poche pagine, ma denso di significato e di conseguenze; la stella era la più splendente del cielo ed era visibile anche in pieno giorno; fu osservata per sedici mesi, poi, come una nuova moda, diminuì il suo irraggiamento fino a che la sua luminosità si confuse con quella della galassia cui apparteneva. Qualche anno dopo il grande astronomo Keplero il 17 ottobre del 1604 osservò un altra stella nuova, in realtà comparsa nel cielo otto giorni prima, e rimase profondamente impressionato per la sua luminosità superiore a quella di Venere. Era la seconda segnalazione nell’arco di una generazione; la sua luce splendente fu visibile per diciotto mesi e proveniva dalla costellazione dell’Ofiuco nella nostra galassia. L’evento fu descritto nel libro “De Stella nova in pede Serpentarii” [24].
Le due segnalazioni scientifiche delle stelle nuove nel firmamento determinarono l’iniziale crepa dell’ordine universale aristotelico e della visione cosmologica della chiesa cattolica, minando il lato temporale della chiesa, che, simile alla gramigna, infesta la nostra religione, disturbandone la spiritualità.
Anche fra le stelle la morte è la più democratica delle evenienze. Nell’universo muore una stella ad ogni secondo esplodendo con una luminosità superiore alla sua intera galassia, con una luce che in vita non aveva mai generato. La diversità del passato esiste solo nel effetto secondario culturale, mediatico o cumulativamente nell’informazione che l’evento morte produce. E’ il lampo di luce e di energia che dura qualche mese: un attimo, in rapporto ai milioni di anni della sua vita! E nel caso di morte delle stelle più grandi del sole, le stelle giganti con una forza gravitazionale più intensa, sintetizzano, proseguendo la fusione nucleare, elementi sempre più pesanti: il carbonio, che si trasforma in ossigeno in 600 anni, l’ossigeno in sei mesi in silicio, il silicio in un giorno in ferro e poi, dopo essersi concentrate alla dimensione della terra, ma con la stessa enorme massa iniziale, sono condannate all’implosione del nucleo e si trasformano o in una stella a neutroni densissima o ad implodere completamente trasformandosi in un buco nero, pozzo senza fondo, “al di là dello specchio”, che per alcuni rappresenta l’inizio di una nuova vita al di là dell’universo. Come alcune religioni ipotizzano accada per i mortali della terra di mezzo.
Nel cielo della Cina nel 1054, durante la dinastia Song [25] comparve per un mese una stella straordinariamente splendente, visibile anche di giorno; fu chiamata dai saggi cinesi con la loro cortesia tutta orientale “Stella ospite”; comparve nella costellazione del Toro ed oggi, nella nebulosa del Granchio residua una stella a neutroni, che proietta nello spazio un’intensa radiazione pulsante ad intervalli inferiori ad un secondo: é una Pulsar derivata dalla implosione di una nana bianca simile al nostro sole.
E’ stato prospettato con simulazioni al computer che istanti prima dell’esplosione finale, la stella di dimensioni enormi, ruotando come una trottola riesce a frenare la sua disintegrazione, formando un anello di materia con temperature di miliardi di gradi dal cui centro vengono espulsi getti di gas [26]; se la stella possiede ancora lo strato esterno di idrogeno, l’emissione viene bloccata, ma se si riduce, l’espulsione del getto, inizia la sua corsa nello spazio con una velocità di poco inferiore a quella della luce; attorno al campo magnetico del getto la materia dà origine ad una cascata di elettroni che producono i raggi gamma. Il collasso stellare secondo alcuni cosmologi è responsabile di un’onda costituita da neutrini, sino a poco tempo fa considerati privi di massa; tale fenomeno nella simulazione al computer sarebbe in grado di bloccare la nascita della supernova.
Nel momento in cui osserviamo il “lampo finale” di una supernova a distanze intergalattiche dobbiamo considerare che vediamo il bagliore di un evento avvenuto in un passato remotissimo; ma fortunatamente, potendo valutare l’energia, calcolata in base alla luminosità, e considerando lo spostamento della lunghezza d’onda verso il rosso (effetto Doppler), possiamo calcolare di quanto si è espanso l’universo dall’istante dell’esplosione sino al momento della nostra osservazione: le supernove 1A sono come i tutor autostradali, che tanto rimpinguano le casse dello stato!
E’ stato programmato un osservatorio spaziale: il Super Nova Accelerated Probe (SNAP) [27] capace di rivelare duemila Super Nove all’anno nello spazio profondo per tre anni e fornire i dati per una precisa valutazione dell’espansione e dell’accelerazione dell’Universo; questo satellite dovrebbe essere operativo nel 2013, crisi economiche permettendo e dovrebbe essere posto in un’orbita extralunare per impedire al cono d’ombra della luna le interruzioni cicliche delle rilevazioni. Attualmente i problemi cosmologici sono principalmente: l’espansione dell’Universo, che pare stia accelerando, e la presenza della materia oscura, che sembra essene la causa.
Negli anni sessanta la studentessa Jocelyn Bell, a Cambridge, su indicazione di Anthony Hewis, suo supervisore del dottorato, assemblò un radiotelescopio su di una superficie di circa 12.000 metri quadrati e in poco più di un anno riuscì a riconoscere e ad eliminare i tanti disturbi cui era sottoposta l’antenna; nel 1967 riuscì a captare un segnale radio che inizialmente , non sapendo quale fosse la sorgente dei segnali di origine spaziale, con il suo “direttore” coniò la sigla LGM (Little Green Men = piccolo uomo verde) alludendo a civiltà extraterrestri di carnagione verde! Ora sappiamo che quei segnali provengono dal residuo di una stella di grandi dimensioni, di decine e decine di volte più grandi del Sole, che, esaurito il combustibile nucleare sono collassate sotto il proprio peso facendo sì che gli elettroni schiacciati sui protoni si trasformassero in neutroni. Il residuo stellare non è più grande di una decina di chilometri di diametro, ma con una massa di dieci – venti volte maggiore di quella del Sole. Il residuo stellare, la stella a neutroni, possiede un intenso campo magnetico e ruotando a velocità elevatissima emette onde radio come un faro nello spazio. I segnali sono per tale motivo scanditi dalla rotazione stellare. A volte, a causa di micro terremoti della sfera la regolarità dell’emissione viene modificata evidenziando i cosiddetti Glitchs, che come i terremoti terrestri seguono la distribuzione alla potenza.
Questa scoperta eccezionale ha fatto progredire l’astrofisica e la storia delle stelle, ma noi, miseri mortali, che consideriamo l’Accademia delle Scienze Svedesi essere una organizzazione culturalmente elevata per l’individuazione e l’attribuzione del ambito titolo del premio Nobel, rimaniamo profondamente delusi: il premio Nobel per la fisica nell’anno 1974 fu attribuito solo al “Direttore” Anthony Hewish per la scoperta dei Pulsars e non alla meritevole Jocelyn. Possiamo affermare che si è trattato di un “collasso culturale” dell’Accademia!
La compressione tra protoni e neutroni che avviene nelle pulsar non può essere inquadrata nelle leggi della fisica newtoniana e nemmeno nella meccanica tradizionale del determinismo, perchè le idee classiche sulla gravità e sullo spazio-tempo non sono applicabili ai tempi e alle distanze atomiche. A queste scale infinitesimali [28] vale la teoria della meccanica quantistica di Max Planck [29], basata sul concetto di probabilità, per cui ad esempio, come vedremo, una determinata particella subnucleare in un certo istante può trovarsi in più posti differenti e contemporaneamente lo studio deve estendersi ad una miriade di particelle per tenere conto di tutte le variabili possibili per cui è necessario ricorre alle simulazioni col computer: ormai anche la fisica è una fisica “simulata”, indipendente dalle osservazioni dirette ed i risultati sperimentali, sono risultati di strumenti costruiti in base alle teorie con la finalità di poterle dimostrare.
Ma tra la meccanica quantistica, che spiega bene i fenomeni a livello subnucleare, e la teoria della relatività, che funziona altrettanto bene a livello macroscopico, ci può essere un varco? O c’è un muro invalicabile? Fino ad una quarantina di anni fa questi due campi della fisica erano nettamente separati; la teoria della relatività generale, che aveva sostituito quella della gravità di Newton, permetteva di descrivere quasi al cento per cento l’universo conosciuto, suggerendoci che studiare distanze di 10 elevato alla 15 significava fare anche un viaggio nel tempo e riuscire ad osservare i primi istanti della formazione dell’universo, quando la materia obbedisce alle leggi della fisica quantistica. Da allora è sorta la necessità di ricercare una nuova teoria unificante: da quella dell’Universo di Einstein a quella dell’Universo dei quanti, entrambe presenti nell’Universo, ma tra loro non dialoganti.
Lo studio dei primi attimi della vita dell'Universo ha messo in evidenza le profonde connessioni fra la cosmologia e la fisica subnucleare, tra l’universo astronomico di Einstein e quello del microcosmo dei quanti; é questo il motivo per cui studiare il mondo delle particelle subatomiche, significa studiare e comprendere la nascita dell'Universo e forse qualcosa in più, come sta emergendo. Tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso si scoprì non solo che l’universo è molto più grande di quanto si supponeva in passato, ma anche che non è stabile, ma si evolve: l’universo non solo è in continua espansione, ma con un’espansione progressivamente più accelerata. Fu Samuel Perlmutter [30] astrofisico del Lawrence Berkley National Laboratory alla fine degli anni 90 che scoprì questo fenomeno ed i suoi studi furono premiati come la scoperta dell’anno dalla rivista Science. Contemporaneamente Esther M. Hu, dell'University of Hawaii, con i telescopi Keck, i più potenti del mondo, era riuscito ad osservare il più lontano oggetto visibile dell'universo: una galassia distante 13 miliardi di anni luce dalla Terra dimostrando che l'universo si espande con una velocità crescente, che, nelle zone più lontane dalla Terra, è quasi pari alla velocità della luce.
Dopo essere arrivati a calpestare il suolo della luna ed aver circumnavigato con sonde planetarie la quasi totalità dei pianeti solari utilizzando la dinamica celeste con calcoli di stampo newtoniano ed essere riusciti a far posare, indenni e funzionanti dei robot “esploratori” su Marte e la sonda Juygens-Cassini sulla superficie di Titano, allo stato attuale le ricerche astronomiche ripercorrono nella dimensione galattica i primi studi astronomici planetari utilizzando gli stessi criteri desunti dalla dinamica newtoniana. In passato infatti, dopo la prima fase incentrata sull’osservazione astronomica, le ricerche sui moti dei pianeti avevano permesso, sin dal 1846 di poter individuare, conoscendo le variazioni dell’orbita di Urano [31], l’esatta posizione di Nettuno, il pianeta più distante dal sole e di poterlo con precisione osservare per la prima volta [32]. Ora infatti vengono utilizzati gli studi sulle dinamiche celesti per individuare i lati oscuri dell’Universo, la materia oscura, o, come prospettato quella di un Universo invisibile intrecciato a quello nostro visibile e che sino ad oggi é stato studiato perché costituito da materia barionica; il nostro Universo, definito immenso, che in realtà rappresenta solamente il 4% dell’Universo complessivo.
Per arrivare a questo risultato sono state utilizzate migliaia di immagini per individuare gli "effetti gravitazionali” della materia oscura sulla luce visibile, sfruttando il fenomeno chiamato effetto della "lente gravitazionale debole" con la fotocamera digitale più grande del mondo di cui è dotato il telescopio Canada-France-Hawaii Telescope (CFHT) sul monte Mauna Kea nelle Hawaii. Praticamente la luce che arriva sulla Terra da galassie lontane, mentre viaggia nello spazio, viene deviata dalla "materia oscura" a causa della sua massa; in seguito confrontando migliaia di immagini è possibile posizionare la distribuzione della materia oscura nello spazio e verificarne la quantità dipendente dalla sua massa. Si è avuto conferma di ciò che si ipotizzava da tempo: la materia visibile che compone l'Universo: tutti i pianeti, le stelle e gli oltre 120 miliardi di galassie, costituiscono solo il 4%. Il resto, il 96%, non si sa cosa sia, ci è "oscuro". Il 70% di questa "oscurità" è "energia oscura", il 26% è la materia oscura di cui gli astronomi canadesi e francesi hanno scoperto essere reale.
L’esistenza della materia oscura era stata ipotizzato sin dal 1933 dall'astronomo Fritz Zwicky [33], che aveva studiato il comportamento di ammassi di galassie della Vergine e della Chioma, ipotizzando che per spiegare i movimenti delle stelle che si vedevano, vi doveva essere 400 volte più materia rispetto a quella che si poteva desumere dalla loro luce delle visibile. Zwicky chiamò quella massa mancante "materia oscura" e nessuna definizione poté essere più indicativa!
La Materia Oscura (materia non barionica) è il 23% e l’Energia Oscura il 73% rappresentano il mistero che attualmente viene affrontato. Adesso i quesiti fondamentali che ci si pone sono rappresentati da cosa sia costituita la materia oscura e cosa determini l’energia oscura, di cui non si sa assolutamente nulla e dall’inflazione, cioè dalla dinamica dell’Universo, sappiamo essere condizionata dalle prime.
La nostra energia, quella del mondo macroscopico, della “terra di mezzo”: massa, calore, luce, è stata estratta dai campi quantistici a causa dell’espansione dell’universo. Mentre la forza di gravità rappresenta una sorta di inerzia all’espansione.
L’energia oscura dipende e si associa alla cosiddetta materia oscura che rappresenta circa i 4/5 della materia esistente nell’Universo e, come detto, non emettendo alcuna radiazione é invisibile . Ciononostante il ventinovenne Richard Massey [34] ricercatore al California Institute of Tecnology è riuscito ad ottenere una mappa della materia oscura, sfruttando l’effetto lente gravitazionale sulla luce proveniente dalle galassie lontane; praticamente ha ripetuto la dimostrazione attuata sull’isola Principe al largo della costa occidentale dell’Africa da Sir Atthur Edigton alla teoria di Einstein. Nel lontano 29 maggio del 1919 Edigton, durante le eclissi di sole, confermò la deviazione della luce proveniente dalle stelle Iadi, poste dietro il sole e che erano apparse spostate di 1,75 secondi d’arco rispetto alla loro posizione normale. L’esperimento fu la prima verifica sperimentale della teoria della relatività generale di Albert Einstein. Una doppia grande conquista della scienza del XX secolo: la teoria e la sua difficile dimostrazione!
Quale é la materia che rende stabili le strutture cosmiche? Si era pensato inizialmente che il neutrino potesse rappresentare la materia oscura, ora si prospettano altre e sconosciute particelle. Certo è che le conoscenze astrofisiche sono connesse agli sviluppi ed ai progressi delle conoscenze che si ricavano dagli studi sub-nucleari, dai raggi cosmici, dalle fonti di raggi gamma ad alta energia e, ancora da altre particelle tutte da individuare.
Già negli ultimi decenni, gli astronomi hanno raccolto svariate prove dell'esistenza di un tipo di materia invisibile, che aggrega le galassie e gli ammassi di galassie con l’attrazione gravitazionale, ma la cui natura tuttora ci sfugge. La presenza della materia oscura in effetti e' rivelata da alcune evidenze indirette: dalla velocità di rotazione delle galassie a spirale, rotazione che varia in base alla distanza dal centro della galassia, come se una gran parte della materia fosse distribuita nella regione esterna; pur essendo le stelle e il gas, cioè la massa luminosa delle galassie concentrata verso il nucleo mentre la sua densità decresce verso l'esterno. Pertanto le galassie devono essere circondate da un grande alone di materia invisibile, la materia oscura che contribuisce al campo gravitazionale, ma non alla loro emissione luminosa. Ecco come le galassie e gli ammassi di galassie sono avvolti o immersi in gigantesche sfere di materia oscura; come gli aloni dei personaggi fantastici nei film di fantascienza o gli aloni che stagliano i volti dei santi. Questa materia non interagisce con la materia barionica. Le particelle ed i suoi costituenti avrebbero solo un’azione gravitazionale. Questa materia invisibile sconosciuta, questa realtà buia e oscura sarebbe composta da una pletora di particelle con caratteristiche diverse formatesi precocemente nella storia del cosmo ed accomunate tutte dal ruolo concreto di accelerare la dinamica espansiva dell’Universo.
Per individuare la natura di questa realtà è essenziale lo studio delle particelle e del mondo subatomico dei quanti. In effetti alcuni fenomeni già evidenziati da Fermi negli anni gloriosi dell’avventura atomica del secolo scorso: come il decadimento radioattivo beta per cui si era postulato la presenza di particelle, che mediavano questa “strana forza” responsabile del decadimento dei nuclei atomici. Una forza simile all’elettromagnetismo con comportamenti simili ai fotoni, ma contrariamente a questi con una massa centinaia di volte superiore a quella dei protoni e con un’azione che si esplica solamente nelle vicinanze dei nuclei atomici.
Le particelle W e Z di Rubbia che trasmettono la forza nucleare debole sembra che assomiglino a quelle responsabili della forza oscura; sono particelle in attesa di essere incasellate in quello schema universale, che, come vedremo, potrebbe rappresentare il Graal finale dei nostri universi!
Tra le tante particelle ipotizzate, quelle che presentano le caratteristiche più idonee ad essere candidate al ruolo costitutivo della Materia Oscura sono le WIMP (Weakely Interacting Massive Particle) che agiscono sulla forza gravitazionale e su quella nucleare debole ed inoltre sono invisibili e non interferiscono con le forze elettromagnetiche.
Come tutte le particelle universali del 100% della materia o – a questo punto – delle materie, si sono formate nei primi istanti dell’evento iniziale del Big-Bang. Formate e contemporaneamente annichilite. L’arresto della loro formazione è stato determinato dal raffreddamento con conseguente riduzione energetica e contemporaneamente è cessata la loro annichilazione a causa del loro reciproco allontanamento. La conferma fondamentale della loro esistenza è che la loro massa totale corrisponde perfettamente al calcolo della massa universale: questa è la cosiddetta coincidenza delle WIMP.
Anche per la Materia Oscura è valido “L’effetto isola Principe”: è significativa la dimostrazione di uno scontro di una coppia di Galassie nell’ammasso del Proiettile, che non ha determinato alcun effetto sulle stelle dei loro rispettivi sistemi; solamente le nubi dei gas interstellari si sono scontrate diffondendo raggi X nelle vicinanze della Materia scura e mettendo in evidenza l’effetto della distorsione della luce proveniente dalle stelle situate dietro lo scontro e causata dalla forza gravitazionale “Oscura”.
L’individuazione diretta delle WIMP può basarsi o sulla rarissima possibilità di un loro scontro con un nucleo atomico barionico con la contemporanea dimostrazione in un liquido di scintillazione, ma ne occorrerebbero quantità enormi e molto tempo a disposizione, oppure le loro rarissime collisioni o annichilazioni nello spazio, o ancora i loro effetti durante la loro eventuale formazione negli acceleratori, di cui il più idoneo potrebbe essere quello del CERN di Ginevra. La caratteristica durante la produzione di particelle di Materia Oscura sarebbe l’Osservazione di una collisione nella quale l’energia e la quantità di moto risulterebbero ridotte o assenti essendo le particelle poco reattive. Molto intrigante sembra essere quella nuova particella evidenziata nel vetusto acceleratore americano Tevatron del FermiLab, causata dallo scontro tra un protone ed un antiprotone: la nuova particella con una massa 150 volte superiore a quella di un protone, non é contemplata nel modello standard e potrebbe aprire l’orizzonte di una nuova fisica! A parte le considerazioni maligne che associano questo enorme ed importante risultato sperimentale alla scadenza dei contributi statali per l’utilizzo del Tevatron! Ma sono, spero, solo malignità. La nuova particella potrebbe essere un alter ego del Bosone di Higgs o una variante della particella Z di Rubbia. La risoluzione è attualmente affidata solo al futuro. E’ indubbio comunque che lo scenario che il domani della fisica potrebbe offrirci, a parte le Super WIMP, è uno scenario sconfinante nella fantascienza: l’esistenza di un Universo Oscuro le cui “buie” particelle si sarebbero potute autorganizzare in strutture simili a quelle della nostra “terra di mezzo”. Ma questa evenienza, credo, sia improbabile per la rarefazione delle particelle e per l’assenza tra loro delle forze fino ad oggi conosciute. Fortunatamente il solo mondo complesso per ora è solo il nostro.
Il futuro inizia ogni giorno e si basa più che sul presente, che è un attimo, sul passato che rappresenta il sostegno per qualsiasi sviluppo. Nel 1928 Paul Dirac [35] previde l'esistenza del positrone, particella avente la stessa massa e carica dell'elettrone, ma di segno opposto. Questa previsione dette inizio ad una serie di ricerche sull'esistenza dell'antimateria che culminarono con la conferma dell’esistenza del positrone, osservato da Anderson[36] nel 1932, in base a studi effettuati sui raggi cosmici; in seguito, Segrè[37] e Chamberlin nel 1955 rilevarono tasselli dell’antimateria: il positrone e l’antielettrone. Con il Large Hadron Collider al Cern di Ginevra nel 2010 si era riusciti ad isolare 38 atomi di anti-idrogeno per 1/6 di secondo e, dopo un anno il gruppo ALPHA [38], [39] ne ha isolato 300 per 1.000 secondi (16 minuti!)
L’universo inizialmente era simmetrico con pari quantità di materia e antimateria; questi due componenti dopo pochi istanti contemporaneamente si sono annichiliti, ma in seguito solamente una parte di materia, rispetto ad un miliardo di parti di antimateria, ha costituito il nostro universo. In base alla radiazione cosmica di fondo e calcolando l’espansione dell’universo risulta con certezza che solo un po’ meno del 5% della massa totale dell’universo è costituita da materia barionica. Il resto come detto fa parte della materia e dell’energia oscura risultando invisibile a qualsiasi tipo di lunghezza d’onda. La seconda possibilità per indagare questo nuovo capitolo della fisica è lo studio diretto delle particelle subatomiche nello spazio stesso. Il 2 giugno 1998 lo shuttle Discovery nel suo ultimo volo portò in orbita il primo prototipo dell’Alfa Magnetic Spectrometer (AMS), un rivelatore di particelle per evidenziare l’antimateria nello spazio e che documentò nei raggi cosmici la presenza di antielio a meno del 1 milione di parti di Elio; fu un successo eclatante, che dette la possibilità di ottenere delle sovvenzioni per progettare un rivelatore di antimateria ancora più sensibile; ed il primo febbraio del 2003 lo shuttle Columbia, che era il vettore designato a portare in orbita lo strumento di nuova generazione, dopo pochi minuti dalla partenza, trasformò ciò che avrebbe potuto rappresentare un passo di rilevanza fondamentale per la scienza, in una tragedia: fu trasformato in un cumulo di rottami fumanti: il secondo disastro degli shuttle dopo quello del Challenger del 1986. Sono passati dal secondo disastro sette anni di peripezie, di intralci dovuti alle crisi finanziarie che hanno condizionato la riduzione delle sovvenzioni statali e, finalmente, l’ultimo “modello” dell’AMS avrebbe dovuto partire il 19 aprile del 2011, ma il lancio è stato rinviato di dieci giorni, per portare alla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) uno strumento di sette tonnellate, costato unmilione e duecentomila euro, ancora più sensibile e capace di documentare la presenza nello spazio anche di antiparticelle esotiche provenienti da probabili antistelle o antigalassie, particelle sconosciute che potrebbero costituire la Materia Oscura; o ancora quark strani (strangelet) o particelle di materia ultradensa ipotizzate da alcuni astrofisici. Lo studio di questa enorme quantità di dati saranno forniti “dall’Hubble dei raggi Cosmici”che produrrà sette gigabit di dati al secondo, che verranno inviati istantaneamente a terra per dieci anni! I dati raccolti saranno smistati nei diversi centri di calcolo in Europa, Taivan e Cina. Ed è con viva soddisfazione che devo esternare che questa favolosa avventura scientifica possiede un imprinting prevalentemente italiano, non solo per l’astronauta, Roberto Vittori, che accompagnerà lo strumento in orbita verso la ISS, a anche per la stessa realizzazione dello strumento a cui hanno partecipato enti ed industrie aereospaziali italiane.
Nel novembe del 2010 al Cern di Ginevra è stato eseguito un esperimento [40], che è consistito nel creare atomi con cariche opposte a quelle della materia ordinaria, riuscendo anche ad evitare l’annichilazione. Sono strati generati 38 atomi di anti-idrogeno. L’esperimento è eccezionale sia dal punto di vista teorico-scientifico, ma soprattutto perché rappresenta l’inizio di una reale possibilità di poter riuscire a manipolare una fonte energetica inesauribile ricavabile dall’annichilazione tra materia ed antimateria, che sarebbe capace di produrre 70 volte l’energia prodotta dalla fusione nucleare dell’idrogeno in elio e quattro miliardi di volte l’energia prodotta dalla combustione del petrolio! Dopo un anno gli scienziati del progetto ALPHA (Antihydrogen Laser Phisics Apparatus) guidata da Jeffrey Hangst sono riusciti ad “intrappolare” per sedici minuti trecento atomi antiidrogeno. Gli esiti della ricerca sono stati pubblicati su Nature Phisics [41].
Certo è stata profetica la considerazione di Michael Turnes [42] dell’Università di Chicago, che ha definito l’attuale periodo come l’età dell’oro della cosmologia sia per i progressi tecnologici, che per le recenti intuizioni e prospettive, anche se ancora tanto e molto è il lavoro che ci attende.
Come sempre accade nella storia delle scoperte scientifiche, queste avvengono in un clima predisponente la loro emersione. Possiamo immaginare una base costituita da singole cognizioni di diverso valore, che si autorganizzano nel tempo e che cumulativamente predispongono l’evento illuminante.
Come vedremo in seguito a proposito della criticità autorganizzata, è questo il terreno fertile predisponente, costituito da successive acquisizioni, che rappresenta il lievito della crescita scientifica. E, per ritornare al problema in precedenza evidenziato, che ha impegnato da più di un secolo i fisici nucleari ed i cosmologi, consistente nel “far quadrare” la gravità nell’ambito della meccanica quantistica, dobbiamo assommare tutte le scoperte sia in campo cosmologico che in quello strutturale delle particelle subatomiche, considerandole cumulativamente facendo emergere un’aspettativa che sarà certamente capace di risolvere i problemi affrontati, soprattutto utilizzando quello sguardo che va al di là dello specchio, al di là di quello che singolarmente è acquisito ed assimilato e che possiamo definire col termine di “immaginazione scientifica”; queste, come tutte le prospettive radicali inizialmente vengono non considerate, poi derise, ma che nel tempo acquisendo la loro stabilità nel riuscire a risolvere i problemi affrontati in precedenza e non risolti per la visione limitata dall’ovvio del passato, accettate, perché valutate valide. Il premio Nobel del 2004 per la fisica, Frank Wilczek, personalità di riferimento della fisica teorica contemporanea, si è posto degli interrogativi fondamentali: “Cos’è la Massa? Cos’è lo Spazio”? “La Materia – scrive all’inizio della prima parte de”La leggerezza dell’essere, l’etere e l’unificazione delle forze” [43] – “ non è ciò che sembra. La sua proprietà più evidente, che è chiamata resistenza al movimento, inerzia o massa – può essere interpretata in maniera più profonda in termini completamente diversi. La massa della materia ordinaria è l’energia contenuta nei componenti più elementari, in sé privi di massa. Neanche lo Spazio è come sembra. Ciò che ai nostri occhi appare come spazio vuoto si rivela alla nostra mente come un mezzo complesso, brulicante di attività spontanea”.
Siamo alle soglie di una transizione di fase, cioè di una trasformazione cognitiva nei riguardi del mondo in cui siamo immersi.
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[1] Aristotele nato a Stagira nel 384 a.C. è uno dei più innovativi e prolifici uomini di cultura del mondo antico ed una delle menti filosofiche più stimate e influenti, oltre ad essere un importante precursore in svariati campi della conoscenza. Il suo fatale errore fu proporre il modello geocentrico, cioè considerare la Terra al centro dell'universo. Questo errore, per l'autorevolezza del maestro, durerà per 1800 anni, sino a Nicolò Copernico.
[2] Aristarco di Samo (Samo, 310 a.C. circa – 230 a.C. circa) è noto soprattutto per avere per primo introdotto la teoria eliocentrica nella quale il Sole e le stelle fisse sono immobili, mentre la Terra ruota attorno al Sole.
[3] Niccolò Copernico astronomo polacco famoso per aver rigorosamente dimostrato con procedimenti matematici la teoria eliocentrica proposta da Aristarco da Samo.
[4] E’ un movimento lento e continuo che fa cambiare l’orientamento dell’asse di rotazione della terra e di conseguenza determina la diversa indicazione del polo Nord; all’epoca della costruzione della piramide di Cheope il polo nord era indicato verso la stella Thuban della costellazione del Drago e tra circa 13.000 anni, sarà Vega e non l'attuale stella Polare ad indicare il polo nord sulla sfera celeste.
[5] Almagesto: scritta intorno al 150 d.C. da Claudio Tolomeo; opera che per più di mille anni costituì la base delle conoscenze astronomiche nel mondo islamico ed in Europa.
[6] Ipazia fu una matematica, astronoma e filosofa greca uccisa da una folla di cristiani fanatici capeggiati dai monaci paraboloni nel 415. Rappresenta una martire del paganesimo e della libertà di pensiero.
[7] Giordano Bruno elaborò una nuova teologia dove Dio è intelletto creatore e ordinatore di tutto ciò che è in natura, ma egli è nello stesso tempo Natura stessa divinizzata, in un'inscindibile unità panteistica di pensiero e materia.
[8] Modi forse derivanti dal suo alto lignaggio e dall’aver perso il suo naso in un duello da giovane e d’averlo sostituito con una protesi metallica, che studi recenti hanno stabilito essere di rame e non come faceva credere di oro!
[9] Il perelio è il punto in cui il pianeta raggiunge la minima distanza dal sole.
[10] L’afelio é il punto in cui il pianeta raggiunge la massima distanza dal sole
[11] Menhir dal bretone men e hir "pietra lunga" sono dei megaliti, dal greco "grande pietra" monolitici. I menhir sono ampiamente distribuiti in Europa, Africa ed Asia, ma sono più numerosi nell'Europa Occidentale, in particolare in Bretagna e nelle isole britanniche e in Italia in Puglia.
[12] Cossard Guido in Astronomia Megalitica. Nuovo Orione n. 21 Feb. 94 e in Archeoastronomia nel Morbihan. Nuovo Orione n.89, Ott. 99
[13] Dolmen che si trova a Yegok-ri, Haman-gun, nella regione Kyŏngsang-namdo (Gyeongsangnam-do).
[14] In “Le due culture: cause e forme della dicotomia” in “I Classici e la Scienza. Gli antichi, i moderni e noi”. RCS Libri S.p.A. Milano 2007
[15] Fonti: (Focus Storia - Dicembre 2003)
[16] L'Astronomia riguarda solo il movimento matematico degli astri, la fisica il movimento meccanico dei corpi e la chimica studia la composizione degli elementi e le loro relazioni. Inoltre fu Comte per primo a chiamare la sociologia "Fisica Sociale".
[17] Joseph von Fraunhofer nel 1814 fu il primo a studiare le righe di assorbimento dello spettro del Sole Inventò inoltre il reticolo di diffrazione e in questo modo trasformò la spettroscopia da arte a scienza, dimostrando come misurare esattamente la lunghezza d'onda della luce.
[18] William Wollaston scoprì inoltre che ogni elemento, ogni composto chimico ha la propria serie di righe spettrali:queste sono uniche, come impronte digitali. Esse ci rivelano non solo quali atomi o molecole sono presenti nel materiale in esame, ma anche molte altre sue condizioni fisiche, a partire dalla temperatura. Fu così che, applicando apparecchi fatti di fenditure e prismi (spettroscopi) ai telescopi , Padre Angelo Secchi ottenne vari tipi di spettri stellari.
[19] Richard Feynman scienziato statunitense, premio Nobel per la fisica nel 1965.
[20] Quantum ground state and single-phonon control of a mechanical resonator A. D. O’Connell, M. Hofheinz, M. Ansmann, Radoslaw C. Bialczak, M. Lenander, Erik Lucero, M. Neeley, D. Sank, H. Wang, M. Weides, J. Wenner, John M. Martinis, A. N. Cleland. Nature 464, 697-703, 2010
[21] “De motibus stellae Martis” pubblicato nel 1609
[22] Geoff Brumfield “Our Universe: Outrangeous fortune. Nature del 4 gennaio 2006.
[23] Il “mangia mangia” è scritto nei cieli!
[24] La nuova Stella nel piede del Serpentario.
[25] La dinastia Song dette impulso alle arti, alle scienze ed alle leggi. Furono promulgate le riforme di Wang Anshi nel memoriale delle diecimila parole. Quella che mi ha colpito maggiormente è quella che stabiliva il divieto ad un funzionario statale di accumulare contemporaneamente cariche civili e cariche statali (da raccontare a Berlusconi!) In quel periodo fu inventata la bussola, i caratteri mobili per la stampa, la polvere da sparo. Shen Kuo Fu il “Leonardo cinese” geniale matematico, astronomo, geologo. La sua opera più celebre è “Dream Pool Essay” (Mengxi Bitan). Studiò il moto della Luna e dei Pianeti.
[26] Ricercatori del Politecnico di Torino, di Milano, e del Max-Planck-Institut di Goettinga hanno realizzato una camera a vuoto cilindrica di quattro metri di lunghezza riuscendo a dare agli stessi gas l'energia necessaria a proiettarli nel vuoto spinto della camera, all'interno della quale vengono bombardati da un fascio di elettroni. L’esperimento, pubblicato su New Journal of Physics, ha permesso di studiare il comportamento dei getti di particelle generati dai buchi neri oppure da stelle molto giovani e che attraversano il cosmo per centinaia di migliaia di anni luce. Il comportamento dei getti è ben descritto dalle leggi della dinamica newtoniana.
[27] Proposto dalla Nasa e dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti.
[28] Di 10 elevato alla -43 secondi, pari a un “quanto di tempo”e a distanze inferiori a 10 alla -33 centimetri.
[29] Fisico tedesco (1858-1957) ideatore della teoria dei quanti. secondo la quale gli atomi assorbono ed emettono radiazioni in modo discontinuo, per quanti di energia. In tal modo anche l'energia può essere concettualmente rappresentata, come la materia, sotto forma granulare: i quanti sono appunto granuli di energia indivisibili.
[30] Saul Perlmutter (1959) dirige il Supernova Cosmology Project. Nel gennaio del 1998 Perlmutter e il suo gruppo di astronomi annunciarono dopo anni di studi che l'espansione dell'universo è sempre più rapida.He is a member of the American Academy of Arts & Sciences . [1] , and was elected a Fellow of the American Association for the Advancement of Science in 2003.
[31] Urbain Le Verrier. (1811- 18 )Docente di astronomia al politecnico di Parigi (1811) dopo aver studiato il moto di Urano previse l’esistenza di un pianeta esterno.
[32] Johann Goffried Galle dell’Osservatorio di Berlino, in base ai calcoli di Le Verrier dopo solo un’ora di osservazioni individuò Nettuno, il pianeta esterno. La scoperta fu condivisa dall’inglese Adams Jhon Kouch che contemporaneamente giunse allo stesso risultato.
[33] Fritz Zwicky (1898-1974) astronomo svizzero naturalizzato statunitense. Propose per primo l'esistenza della materia oscura. Elaborò la teoria secondo cui le supernovae possono creare stelle di neutroni e produrre raggi cosmici. Conosceva alla perfezione 17 lingue diverse. Scopritore di supernove extragalattiche avendone scoperte da solo od assieme ad altri ben 123.
[34] Richard Massey e Coll. “Dark matter maps reveal cosmic scaffolding” Nature 445, 286 and cover 2007
[35] Paul Dirac fsico matematico britannico viene annoverato tra i fondatori della fisica quantistica. Nel 1928, partendo dai lavori d Pauli su sistemi non relativistici con spin, derivò l’equazione che prese il suo nome e che descriveva l’elettrone da un punto di vista relativistico. Nel 1933 ricevette il premio Nobel assieme a Schrödinger per "la scoperta di nuove forme della teoria atomica".
[36] Fisico statunitense (1905-91). Professore di fisica al California Institute of Technology, si dedicò allo studio dei raggi cosmici. Nel 1932, fotografando le traiettorie di raggi cosmici in una camera a nebbia, scoprì la particella subatomica il positrone, la cui esistenza era stata prevista anni prima da Dirac. Gli fu conferito il premio nel 1936 il premio Nobel che divise con V. F. Hess. Nel 1937 contribuì alla scoperta del mesone μ.
[37] Nel 1955, servendosi del betatrone di Berkeley, con Oven Chamberlain scoprì l’antiprotone. Per questa scoperta gli venne conferito il premio Nobel per la fisica nel 1959.
[38] Jeffrey Hngst Nature Phisics on line 5 giugno 2011
[39] John Matson. Scietific American 5 giugno 2011
[40] “Tripped antihydrogen” Andresen G.B. e Coll. Nature 468, 673-676, 2010
[41] “Confinement of antihydrogen for 1.000 seconds” Nature Physics 7, 558-564, 2011
[42] Michael S. Tune “Quarks and the Cosmos”. Science 5 gennaio, 315, 59-61, 2007
[43] Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino 2009
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